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Covid 19

Bare per strada, migliaia di morti: il Coronavirus è una guerra, ospedali e case le nostre trincee

Le bare trasportate per strada dall’esercito, gli ospedali da campo, migliaia di morti, le misure di contenimento che assomigliano a una sorta di coprifuoco. Il Coronavirus è una guerra: le trincee sono in primo luogo gli ospedali, dove combattono in prima linea medici e infermieri. Ma anche noi, cittadini, siamo soldati nelle comode trincee di casa nostra, da dove ci viene chiesto di non muoverci se non per assoluta necessità. Riusciremo a sopportare qualche sacrificio per vincere questa guerra?
A cura di Francesco Loiacono
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Il Coronavirus è una guerra, la guerra di chi non ha mai conosciuto quella combattuta in maniera convenzionale sui campi di battaglia. Il nemico non indossa una divisa, non ha nazionalità: è un nemico invisibile, può colpire chiunque ma, da vero vigliacco, privilegia soprattutto le persone più anziane e debilitate, quelle che, in alcuni casi, l'ultima guerra l'hanno vista davvero. Le bare trasportate per strada a Bergamo dalle camionette dell'esercito, migliaia di morti (oltre duemila nella sola Lombardia), ospedali da campo allestiti in tutta fretta, medici e infermieri in lacrime perché posti di fronte a scenari da medicina delle catastrofi, dovendo valutare in poco tempo chi avrà maggiori probabilità di sopravvivere tra i tanti, troppi pazienti che arrivano in ospedali ormai saturi.

E poi le famiglie che non possono dare l'ultimo saluto ai loro cari che muoiono per le conseguenze del Covid-19, o che, quando i contagiati vengono prelevati da operatori sanitari ormai allo stremo, spesso perdono i contatti con loro e non sanno neanche dove vengono ricoverati. E ancora le misure di contenimento, lo stare a casa, i negozi chiusi, il divieto di abbracciarsi: una sorta di coprifuoco che invade anche la sfera privata, con la quarantena che spesso impone anche alle coppie più affiatate la necessità di stare divisi nella stessa casa e la violenza di non poter abbracciare o baciare i propri figli.

In questa strana guerra contro il Coronavirus non si combatte sul campo da battaglia. Le trincee sono diventate in primo luogo gli ospedali, i soldati sono medici, infermieri, operatori sanitari delle ambulanze, volontari. Combattono non sempre supportati a dovere dai loro "generali", che sono tutti i politici che cercano di fornire loro le armi migliori: respiratori per salvare i pazienti più gravi, mascherine e tute protettive per proteggersi dalle "pallottole" che possono essere invisibili gocce di saliva, uno starnuto, un colpo di tosse. E poi c'è un'altra trincea: sono le nostre case (certo, per chi ha la fortuna di averne una). Infinitamente più comode, rispetto a quelle in cui hanno combattuto i nostri connazionali durante la Prima o la Seconda guerra mondiale.

Eppure c'è chi proprio non riesce a stare in trincea, nonostante il divano, la tv, internet. C'è chi diserta, anche in questa guerra come in tutte le altre. Sono tutti coloro che vanno in giro senza alcun motivo valido, che non rispettano le regole, che se ne fregano delle conseguenze delle loro azioni. Tutti noi, cittadini, siamo soldati impegnati in questa guerra contro il Coronavirus. Abbiamo un compito molto più facile di quello dei medici e degli infermieri impegnati in prima linea: siamo nelle retrovie, nelle nostre case, e dobbiamo solo sopportare qualche sacrificio – duro, è vero, ma temporaneo – per far sì che il loro lavoro non sia vano e che la triste conta dei contagiati e dei morti possa arrestarsi. Ce la faremo?

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