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Referendum per l’autonomia: ventimila tablet alle scuole, per custodire gli altri la Regione pagherà

I “tablet della discordia”, utilizzati per la prima sperimentazione di voto elettronico in occasione del Referendum per l’autonomia della Lombardia dello scorso 22 ottobre, sono finiti per la maggior parte alle scuole, che sembrano dunque averli apprezzati: solo due istituti li hanno rimandati indietro. Ma le polemiche continuano: Il Pd ha spiegato che per custodire le rimanenti quattromila “voting machine” la Regione spenderà 21mila euro in due anni.
A cura di Francesco Loiacono
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Gli hanno chiamati i "tablet della discordia" perché sul loro conto, fin dall'acquisto, si sono scatenate molte polemiche. Parliamo in realtà non di veri e propri tablet ma delle "voting machine", cioè i dispositivi con cui i cittadini lombardi, lo scorso 22 ottobre 2017, si sono espressi sul "Referendum per l'autonomia" della loro regione. Gli apparecchi, circa 24mila, sono stati acquistati dalla giunta allora guidata da Roberto Maroni per una cifra di circa 23 milioni di euro, giudicata da molti eccessiva. L'allora governatore, però, anche per giustificare l'esborso, aveva spiegato che i tablet, dopo essere stati impiegati per la prima sperimentazione del voto elettronico in Italia (non senza problemi), avrebbero avuto una "seconda vita": la maggior parte sarebbe finita alle scuole lombarde che ne avessero fatto richiesta, mentre altri (una quota che a seconda delle dichiarazioni oscillava tra i mille e i quattromila dispositivi), sarebbero rimasti in dotazione alla Regione per futuri impieghi a fini elettorali.

Anche il passaggio dei tablet dalle urne alle scuole è stato accompagnato da polemiche, sia per la presunta lentezza della procedura sia per la tipologia degli strumenti, ritenuti da alcuni esperti inadatti all'uso didattico per via delle loro specifiche tecniche (tra cui il peso eccessivo e il software open source utilizzato). In effetti il ricondizionamento degli apparecchi (cioè le procedure da parte della società produttrice per disinstallare il software di voto e rendere i tablet utilizzabili dalle scuole), ha richiesto diversi giorni di tempo: solo il 18 dicembre, due mesi dopo il voto, i primi 1.500 apparecchi sono finiti nelle prime scuole per la fase sperimentale, al termine della quale gli istituti avrebbero dovuto dire se li ritenevano idonei alla didattica.

Le scuole sembrano aver apprezzato i tablet: ne hanno chiesti circa 20mila

Adesso la Regione Lombardia, al cui vertice nel frattempo Attilio Fontana ha preso il posto di Roberto Maroni, ha reso noti alcuni numeri relativi alla "terza fase" della vita dei contestati tablet. I numeri in realtà rivelano che le presunte critiche sull'utilizzo didattico delle macchine elettroniche non erano giustificate: solo due scuole su 57 hanno infatti deciso di restituire a Palazzo Lombardia i tablet al termine della sperimentazione. Le altre, come spiega la Regione in una nota, "hanno dichiarato di voler continuare ad utilizzare le ‘voting machine' a scuola, principalmente per la consultazione di documentazione online per ricerche o altre attività, l'utilizzo di piattaforme/software in cloud e la compilazione del registro elettronico da parte dei docenti". Alle scuole della sperimentazione se ne sono aggiunte altre: "A oggi sono arrivate 587 richieste per un totale di 18.493 dispositivi, senza contare quelli già assegnati per la sperimentazione (circa 1.500). Alle scuole sono stati già consegnati 17.024 dispositivi. I restanti saranno recapitati nelle prossime settimane", spiega la nota di Palazzo Lombardia. Tutte le scuole interessate a continuare a utilizzare i tablet potranno adesso chiederne il comodato d'uso gratuito alla Regione.

Le polemiche continuano: 21mila euro per custodire i rimanenti tablet

Cosa succederà invece ai tablet che non finiranno nelle scuole? "Gli ulteriori 4 mila dispositivi elettronici saranno custoditi dalla Regione Lombardia per futuri impieghi, per esempio per i referendum sulle fusioni dei Comuni", spiega sempre la Regione in una nota. Ma anche su quest'aspetto sono nate delle polemiche. A sollevarle è stato il Partito democratico, che ha reso noti i costi che Palazzo Lombardia sosterrà per custodire le "voting machine": circa 21mila euro per i prossimi due anni. Si tratta del costo per l'affitto di uno spazio di 300 metri quadri nell'ex area Expo, sulla base di un contratto stipulato tra Regione e Arexpo (la società che si occupa del post Esposizione universale): "Continuiamo, dunque, a pagare il conto dei tablet che non è ancora chiaro se saranno così utili alle scuole che se li sono aggiudicati e se potranno effettivamente garantire risparmi, velocità e trasparenza nelle consultazioni comunali per le fusioni – ha dichiarato il consigliere regionale Fabio Pizzul, capogruppo del Pd in Consiglio regionale – Come se non bastasse, Arexpo, per evitare equivoci e incidenti, ha chiesto alla Regione la stipula di una polizza con un massimale non inferiore ai 2 milioni e mezzo di euro. Non si sa mai". Insomma, nonostante i chiarimenti forniti dalla Regione, la questione dei tablet rischia davvero di trasformarsi in un tormentone senza fine, in attesa della prossima puntata.

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