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L’abbraccio tra i rom e Milano: 10 anni dopo lo sgombero, via Rubattino è un modello da seguire

Dieci anni fa, in via Rubattino, un pezzo di Milano si ribellò alla politica degli sgomberi che nascondeva un “disprezzo atavico” verso i rom. Quella parte di città, dieci anni dopo, ha riabbracciato i protagonisti di un modello di inclusione che ha superato il concetto di integrazione per farsi comunità. Dallo sgombero di via Rubattino è nato un modello: “Milano deve imparare da questa storia, deve esserne orgogliosa”, ha detto l’assessore Gabriele Rabaiotti.
A cura di Francesco Loiacono
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Otto anni dopo le parole di Nichi Vendola sul palco di una piazza Duomo arancione, Milano è tornata ad abbracciare i suoi "fratelli rom". Lo ha fatto ieri sera, nella sala del Cam Garibaldi gremita di persone che sono venute a celebrare un modello che va al di là dell'integrazione e che sa di comunità. L'occasione è stato il ricordo dello sgombero della baraccopoli di via Rubattino del 19 novembre 2009: "Da una notte di sconfitta – ha detto Milena Santerini, docente dell'università Cattolica e volontaria della Comunità Sant'Egidio -, da uno sgombero brutale che interruppe un percorso di integrazione è nata un'ondata di solidarietà umana che porta i suoi frutti ancora oggi". Questi frutti sono nei numeri: 73 famiglie rom che ora vivono in una casa, il 100 per cento dei bambini in età scolare che frequenta scuole materne e primarie e molti che si iscrivono alle superiori, almeno una persona per famiglia con un lavoro. Ma sono anche in ciò che non si misura: i sorrisi, gli abbracci tra rom e volontari che si sono ritrovati – tra cui le mamme e maestre di Rubattino, che si mobilitarono per i bambini impossibilitati a frequentare le scuole -, l'atmosfera di festa che si è percepita ieri sera.

A colpire nelle testimonianze è la normalità

Un video racconto di quanto accadde il 19 novembre 2009 – si era sotto la giunta presieduta dalla sindaca Letizia Moratti, con il vicesindaco "sceriffo" Riccardo De Corato che segnava tacche sulla cintura per ogni sgombero – ha aperto l'incontro, riaprendo antiche ferite e commuovendo chi era presente in quei giorni. Ma alla commozione è subentrato l'orgoglio di poter testimoniare cosa è successo a 10 anni di distanza. Sono storie, se volete, quotidiane, normali: è la normalità a colpire nelle testimonianze di Genesa, Mara, Paris, Pietro e gli altri. Raccontano della loro casa, del loro lavoro, dei loro figli che studiano, fanno sport, fanno volontariato, fanno amicizia con chi non è rom, ci escono insieme. Vite normali, ma la normalità è come "essere in paradiso" per persone per le quali la normalità dieci anni fa era non sapere dove avrebbero dormito dopo l'ennesimo sgombero, se avrebbero avuto un tetto sulla loro testa, se sarebbero riusciti a mangiare o a far da mangiare per i loro figli.

Rabaiotti: Milano deve imparare da questa storia ed esserne orgogliosa

"Non dovete dimenticare che questo risultato non è scontato – ha detto ai presenti l'assessore alle Politiche sociali Gabriele Rabaiotti – se è accaduto è perché il pezzo migliore di questa città è stato accanto a voi". Quel pezzo di città che si ribellò a chi, "più che il desiderio di riportare legalità – come ha ricordato Milena Santerini – dimostrava un disprezzo atavico". I problemi non sono certo stati tutti superati: "Non va così dappertutto a Milano – ha proseguito l'assessore – non sempre va così nei campi, autorizzati e non". Anche i pregiudizi verso i rom, come ha ricordato Stefano Pasta, volontario di Sant'Egidio e in prima linea durante lo sgombero di via Rubattino, sono tenaci, faticano a crollare. E la dimostrazione più evidente è che, molti di coloro che hanno portato la propria testimonianza, hanno voluto che i loro volti non finissero in video o foto, per timore che chi ha dato loro un lavoro possa cambiare idea.

La strada è lunga, ma è segnata

Ma anche se la strada per far sì che ciò che ora è percepito come straordinario diventi normalità, anche se il percorso per passare "dall'integrazione alla comunità", come suggerito dal presidente del Municipio 1 Fabio Arrigoni, è lungo, quella strada e quel percorso sono segnati: si chiamano via Rubattino, diventata, con tutto ciò che è successo in seguito, un modello da seguire. "Milano deve imparare da questa storia – ha concluso Rabaiotti – deve esserne orgogliosa. Deve capire che il futuro si costruisce da questa storia". E l'appuntamento è allora tra altri dieci anni, al 19 novembre del 2029, per sapere se finalmente i pregiudizi saranno stati sconfitti.

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