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Aggressione con acido, la vittima: “Ho bloccato Alex con una mossa di judo”

Pietro Barbini, il 22enne sfregiato con acido muriatico a fine dicembre in via Carcano, a Milano, ha ricordato davanti agli inquirenti i concitati momenti dell’aggressione. Intanto, i legali di Boettcher e Levato hanno chiesto il rito abbreviato, subordinato a perizie psichiatriche sui due imputati.
A cura di Francesco Loiacono
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Dal letto di ospedale sul quale è costretto dallo scorso 28 dicembre, Pietro Barbini, il 22enne aggredito con acido in via Carcano a Milano, ha ricordato davanti agli inquirenti quanto successo in quella domenica pomeriggio. Lo ha fatto lo scorso 22 gennaio, e la sua testimonianza, messa a verbale, è una di quelle "prove granitiche" che secondo il pubblico ministero Marcello Musso, inchioda i suoi aggressori: la 23enne Martina Levato e il 30enne Alexander Boettcher. La "coppia diabolica" che martedì, alla seconda udienza del processo per direttissima a loro carico per lesioni gravissime – nel quale, viste le aggravanti dei motivi abietti, della premeditazione e dalla crudeltà rischiano 16 anni di carcere -, si scambiava sguardi teneri, sorrisi, parole sussurrate a distanza.

"Guidava mio padre – ricorda Pietro nel verbale, riportato dal Corriere -. Io sono sceso dall’auto. Mi sono avviato e nel camminare ho notato, sul lato opposto della strada, le sagome di due ragazzi. Io sono miope, le figure erano distanti, ma mi sembravano una coppia". Dopo pochi secondi l'aggressione: "Ho sentito dei passi provenire dalle mie spalle, mi sono istintivamente girato… La donna ha lanciato un liquido verso di me, ho sentito il viso bruciarmi". Pietro prova a ripararsi con una mano, ma non basta a evitare che il liquido colpisca parte del suo volto, il naso e l'occhio destro. L'aggressione, però, non è affatto finita. Mentre Pietro inizia a scappare, infatti, la donna gli lancia contro dell'altro acido.

Bloccato con una mossa di judo

Nel frattempo "l’uomo mi stava inseguendo e ho continuato a scappare – racconta Pietro -. Mi sono spogliato dei vestiti perché mi bruciavano: durante la corsa ho urlato al mio inseguitore di lasciarmi stare, che non avevo fatto nulla di male". Poi, però, Pietro trova la forza di reagire e lo blocca con una mossa di judo: "Dopo aver fatto una specie di slalom per seminare il mio inseguitore, mi sono fermato e mi sono girato contro di lui. Ho bloccato la sua mano armata – con un martello, ndr – poi con l’altra mano l’ho avvolto, facendo una torsione sono riuscito a farlo cadere. Ho effettuato una mossa di judo che si chiama ‘ogoshi', che vuol dire ‘grande anca'. Cominciavo a non vederci più bene da un occhio".

Il ragazzo bloccato è Alexander Boettcher, che secondo il suo legale e anche secondo la sua amante Martina Levato si trovava sul luogo dell'aggressione per caso. A tenerlo fermo sono tre persone: Pietro, suo padre e un passante che "ha intimato all’aggressore di stare fermo perché, diceva, era uscito da poco dal carcere e se si fosse mosso gli avrebbe spezzato le gambe". Questa terza persona si dilegua prima dell'arrivo della polizia.

Per Boettcher e Levato due perizie psichiatriche

Mentre Pietro Barbini era sul suo letto d'ospedale, martedì nell'aula della Nona sezione penale del tribunale di Milano i legali di Martina e Alexander hanno chiesto ai giudici che i loro assistiti siano giudicati con rito abbreviato. La richiesta è subordinata a due perizie psichiatriche e altri accertamenti che saranno svolti sugli imputati, volti probabilmente a chiarire se i due fossero perfettamente capaci di intendere e di volere al momento dell'aggressione. Aggressione che rappresenta il culmine di un delirio di paranoia e ossessione tra i due complici-amanti. La sola colpa di Pietro, che su quel letto di ospedale dovrà passare altri lunghi mesi di degenza, è infatti quella di essersi intromesso, seppur brevemente, tra i due. Ne è consapevole anche lui, mentre ripensa ai messaggi che si era scambiato con Martina, sua compagna e ragazza ai tempi del liceo, la scorsa estate: "Secondo me voleva che lui li leggesse anche per ‘riparare' il danno di averlo tradito con me. Voleva cioè dimostrargli, mortificando me, che solo lui era un uomo vero e sapeva soddisfarla sessualmente".

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