Elezioni regionali Lombardia 2018: le ragioni del trionfo di Attilio Fontana e della Lega
Più che una vittoria, un trionfo. Lo si era già capito ieri, tanto che a un certo punto, quando ancora la conclusione dello spoglio era lontana (per il risultato definitivo mancano ancora alcune decine di sezioni) Attilio Fontana ha abbandonato ogni cautela tenendo una conferenza stampa da governatore. Fontana e la Lega hanno stravinto le elezioni regionali in Lombardia. Percentuali "bulgare", come si suol dire: 49,7 per cento (pari a oltre due milioni e 780mila voti) per il candidato di Carroccio e centrodestra, staccato di oltre 20 punti principali il principale sfidante, il candidato dem Giorgio Gori. Più indietro gli altri: Dario Violi del MoVimento 5 stelle ottiene il 17,3 per cento (dato comunque più alto di quello ottenuto da Silvana Carcano del M5s nel 2013), Onorio Rosati di Liberi e Uguali rimane addirittura fuori da Pirellone: ha ottenuto solo l'1,9 per cento dei consensi. Sotto l'1 per cento gli altri sfidanti per Palazzo Lombardia: in ordine di preferenze sono Angela De Rosa di CasaPound, Massimo Gatti di Sinistra per la Lombardia e Giulio Arrighini per il Grande nord.
Per la Lega è la ciliegina sulla torta dopo le Politiche
Per la Lega si tratta della ciliegina sulla torta: dopo l'ottimo risultato alle Politiche, conferma la guida della regione più importante d'Italia, dov'è saldamente il primo partito. Il Carroccio ha ottenuto il 29,6 per cento dei voti, dieci punti percentuali in più del Pd, fermo al 19,2. Il MoVimento 5 stelle è la terza forza, con il 17,8 per cento dei consensi. Forza Italia solo quarto con il 14,3 per cento. Un risultato che inizia già a pesare: "La politica si fa con numeri, di conseguenza i rapporti di forza saranno in base ai numeri elettorali", ha detto ai suoi alleati il segretario lombardo della Lega Paolo Grimoldi, preannunciando una giunta a trazione leghista. L'exploit del Carroccio è lampante analizzando il risultato del 2013, quando alle Regionali ottenne il 12,9 per cento. Certo, allora c'era una lista Maroni in più (al 10,2 per cento) che probabilmente drenò qualche voto, cosa che la lista Fontana Presidente (all'1,46 per cento) ha fatto in misura minore.
Le ragioni del trionfo
Quali le ragioni del trionfo? Tante e diverse. Ha pesato, certamente, quel "vento populista" citato dal grande sconfitto, Giorgio Gori, ex spin doctor di Matteo Renzi che lo ha seguito nella disfatta. Il risultato delle Regionali è stato certamente trainato dall'esito delle elezioni politiche: la Lega è risultato il primo partito in Lombardia alla Camera e al Senato e gli elettori lo hanno votato anche sulla terza scheda, quella delle Regionali. Ad ammettere l'effetto traino è stato lo stesso Fontana: "Sicuramente è merito di Salvini e della Lega. Le elezioni regionali hanno subito il traino delle Politiche", ha detto nella sua conferenza stampa di ieri.
La Lombardia è ormai un feudo di Lega e centrodestra
Ma nel trionfo hanno anche pesato i 23 anni ininterrotti di governo del centrodestra in Lombardia (a partire dalla prima giunta Formigoni nel 1995) e soprattutto gli ultimi cinque anni di giunta Maroni. Una consiliatura travolta da scandali (da ricordare l'arresto del Presidente della Commissione Sanità Fabio Rizzi, ex fedelissimo di Maroni), da polemiche (il Family day e il centralino contro il gender, per ricordarne due) e segnata in ultimo dal referendum a suo modo storico sull'autonomia (storico anche per il voto elettronico, pur con tutti i suoi problemi). Una consiliatura che evidentemente è però servita per rinsaldare un sistema di potere ormai radicato nel tessuto lombardo e i cui risultati sono stati evidentemente apprezzati dalla maggioranza dei cittadini. Tanto da permettere alla Lega e in generale alla coalizione di centrodestra di accumulare, nei sondaggi pre elezioni, un vantaggio così consistente da non poter essere dilapidato da nessun candidato governatore. Ecco le ragioni che probabilmente hanno portato Forza Italia a non forzare sulla scelta della più popolare Maria Stella Gelmini quando Maroni ha clamorosamente rinunciato alla ricandidatura. Ecco perché, nonostante la gaffe sulla "razza bianca" di Fontana (per cui ieri si è nuovamente scusato) e una campagna elettorale tutto sommato sotto tono (era stato definito il "candidato fantasma" dal Pd), senza confronti diretti, schiacciata da quella delle Politiche, la Lega e il centrodestra hanno stravinto.
L'inconsistenza del principale avversario, Gori
L'impressione, alimentata paradossalmente dalla stessa strategia comunicativa del Pd lombardo, è che probabilmente Lega e centrodestra avrebbero vinto lo stesso anche se davvero al posto di Fontana ci fosse stato un fantasma. Non è così e anzi l'ex sindaco di Varese, a parte la clamorosa gaffe, è stato riconosciuto da tutti i suoi sfidanti come una persona perbene e moderata. Ma certo questa iperbole serve anche per introdurre l'ultima ragione plausibile del trionfo di Fontana: l'inconsistenza del principale avversario, Giorgio Gori. Nel suo discorso da sconfitto, ieri, lui ha detto: "Ho fatto la miglior campagna elettorale che potessi fare. Tornassi indietro non farei niente di diverso". Ma forse gli errori maggiori il Pd li ha fatti proprio prima della campagna elettorale, nel percorso che ha portato alla scelta di Gori. Un nome, lo ricordiamo, arrivato senza passare dalle primarie, che ha subito alimentato malumori e che ha portato allo "strappo" di Liberi e uguali, che in Lombardia al contrario del Lazio non ha sostenuto il candidato del Pd. Vedendo come è andato Leu, forse presentarsi uniti non avrebbe comunque cambiato di molto la situazione, anche se fare una campagna elettorale unitaria anziché farsi due campagne elettorali contrastanti avrebbe potuto giovare. Adesso Gori avrà tre mesi di tempo per leccarsi le ferite e scegliere se andare a fare il capo dell'opposizione al Pirellone o tornare a fare il sindaco di Bergamo (le due cariche sono incompatibili), uno dei pochi luoghi (oltre a Milano e Mantova città) dove gli elettori lo hanno preferito a Fontana. Di certo il sindaco di Bergamo non è l'unico responsabile della sconfitta, ma dovrà riflettere sui numeri: lui ha ottenuto nove punti percentuali in meno rispetto a Umberto Ambrosoli, il candidato civico che nel 2013 provò a contendere la Presidenza della Regione a Maroni. Il Pd, come partito, è calato invece di sei punti rispetto al 2013.