"Non c'è stata nessuna contaminazione da parte di quei pazienti che sono assolutamente separati da tutti". Lo ha detto l'assessore regionale al Welfare della Lombardia Giulio Gallera a proposito di quei pazienti Covid, 145, che sono stati "collocati in fase di dimissione" dagli ospedali nelle case di riposo lombarde che avevano (o avrebbero dovuto avere) alcune caratteristiche, come "padiglioni separati o aree separate" con "personale dedicato". Gallera lo ha ribadito oggi, venerdì 10 aprile, nel corso di una conferenza stampa durante la quale sono stati ufficializzati i componenti di una commissione "terza", istituita dalla stessa Regione, che dovrà fare luce su quanto avvenuto all'interno delle case di riposo lombarde durante l'emergenza Coronavirus. Una vicenda su cui, in parallelo, indagano anche la procura di Milano e pure il ministero della Salute, tramite i suoi ispettori, intende vederci chiaro.
Iss: In Lombardia 1822 morti nelle case di riposo, oltre la metà per Covid
L'argomento è molto complesso: quello "tzunami" come più volte ricordato da Gallera, che ha colpito la Lombardia ufficialmente da metà febbraio (ma è ormai assodato che il virus circolasse già da prima) si è abbattuto in particolar modo anche all'interno delle Residenze sanitarie assistenziali, ossia strutture gestite spesso da fondazioni private (o in alcuni casi da consorzi tra Comuni), che fanno riferimento alle locali Agenzie per la tutela della salute (Ats, le ex Asl) e per cui "alla Regione – ha detto Gallera – spettano le linee guida, cosa che ha fatto in maniera ampia in questi mesi, e la sorveglianza". Nelle Rsa, come documentato recentemente da un rapporto dell'Istituto superiore di sanità, il Coronavirus è entrato superando quelle barriere e quelle procedure che avrebbero dovuto impedirlo e provocando contagi e decessi, spesso "nascosti" in quanto l'esecuzione dei tamponi in maniera massiccia è partito solo da pochi giorni. I risultati sono drammatici in tutta Italia, ma particolarmente in Lombardia: dal primo febbraio al 31 marzo sono morte nelle Rsa di tutta Italia 3859 persone, 1822 in Lombardia. I morti riconducibili al Covid-19 sono il 37,4 per cento a livello nazionale, ma il 51,3 per cento in Lombardia.
Questi i dati, purtroppo parziali: perché ci sono realtà, come le Rsa di Milano (tra cui il celebre Pio Albergo Trivulzio, anch'esso al centro di una bufera mediatico-giudiziaria), dove l'ondata del virus e i decessi sembrano essersi abbattuti con più forza nei primi giorni di aprile. L'elevato numero di morti ha portato giornalisti e magistrati a chiedersi se tutto ciò che doveva essere fatto per impedire che il virus entrasse nelle strutture che ospitano anziani spesso in condizioni molto fragili sia stato fatto. E questo ha causato la reazione nervosa e in alcuni casi scomposta da parte di Palazzo Lombardia.
Le domande sono per evitare che si ripetano errori in futuro
Chiariamo subito: nessuno (almeno in questa sede) vuole andare alla ricerca di un colpevole a tutti i costi. L'ottica in cui certe domande vengono poste è essenzialmente una: evitare che, se errori ci sono stati, questi errori vengano ripetuti anche in futuro, dal momento che come stanno ripetendo tutti con questa pandemia si potrà tornare a fare i conti (e li stiamo ancora facendo) anche in futuro, se non verrà messo a punto un vaccino. Chiariamo anche un altro punto: la Regione ha il lecito e sacrosanto diritto a volersi difendere, evidenziando tutto ciò che ha fatto per cercare di impedire il contagio all'interno delle Rsa. Ciò che però la Regione non ha capito (o non vuole capire), è che sembra ormai evidente come il vero punto critico della vicenda sia stato lo scostamento tra le linee guida "messe nero su bianco" da Palazzo Lombardia sulle Rsa e la concreta applicazione delle stesse. Per essere più chiari: è ovvio (e ci mancherebbe altro) che la Regione abbia fissato strategie volte a evitare i contagi. Ma ciò che è accaduto sull'isolamento dei pazienti Covid nelle strutture (che a volte non era possibile), o sulla necessità di usare dispositivi di protezione individuali (che molto spesso sono risultati introvabili anche per le Rsa), è andato contro le direttive impartite. Ed è su questo punto che si vogliono ottenere risposte: perché? Da chi è dipeso? Toccava alla Regione mettere le Rsa nella condizioni di poter rispettare le sue direttive, o dovevano provvedere le Ats o le stesse strutture? Domande, tante, che restano ancora senza una risposta.