Quando la coalizione di centrosinistra svelò la candidatura di Beppe Sala, l'ex amministratore delegato di Expo sembrava essere il candidato sindaco ideale per Milano, il cavallo vincente, una figura potenzialmente capace di intercettare i voti dell'elettorato di centrosinistra e centrodestra. Giuseppe Sala, secondo giornalisti e politologi, per molte settimane è stato considerato il "Varenne" della competizione elettorale, senza alcuna ombra di dubbio. Con la candidatura di Stefano Parisi presentata dalla coalizione di centrodestra, le certezze hanno iniziato a scricchiolare, quando ormai era troppo tardi per recuperare qualche punto di distacco. Con il passare dei giorni, delle settimane, degli scandali, della mancata presentazione del bilancio di Expo in tempo per il primo turno elettorale del 5 giugno, della questione relativa all'incandidabilità a sindaco dovuta a questioni burocratiche legate al ruolo di commissario unico di Expo, Stefano Parisi ha iniziato a guadagnare sempre più terreno, erodendo le distanze e mettendo in crisi la dirigenza del Partito Democratico meneghino.
Nonostante nelle ultime settimane di campagna elettorale si fosse già capito che i due sfidanti sarebbero certamente andati al ballottaggio, seppur con un leggero vantaggio per Giuseppe Sala, quello che nessuno si aspettava era una distanza così risicata, pari a soli 5.000 voti, allo 0,9% dei votanti. Quando venne proposta la candidatura di Sala alle primarie del centrosinistra, la dirigenza del Partito Democratico sentiva di aver agguantato il candidato vincente. Reduce dall'esperienza di Expo, Sala in quel periodo godeva ancora di ampia copertura stampa da parte dei media milanesi e nazionali – copertura che, quindi, l'avrebbe reso un candidato sempre più conosciuto e riconoscibile dall'elettorato.
Non solo: allo stesso tempo, Sala era considerato una figura trasversale, potenzialmente in grado di raccogliere i voti del centrosinistra e che, grazie alla caratura manageriale e all'esperienza da city manger nella precedente giunta Moratti, avrebbe potuto facilmente intercettare anche le preferenze degli elettori di centrodestra. In quei mesi, infatti – tra novembre 2015 fino a metà febbraio 2016 – Forza Italia e alleati non sembravano essere in grado di trovare un candidato da contrapporre agli sfidanti del Partito Democratico e a Corrado Passera. In quel periodo, infatti, una serie di indiscrezioni su candidature al limite del grottesco si rincorsero sui media, candidature che se fossero realmente state presentate all'elettorato sarebbero state considerate parte integrante di una strategia appositamente messa in campo per perdere le elezioni a Milano.
Quando a metà febbraio – subito dopo la vittoria di Giuseppe Sala alle primarie meneghine- il centrodestra presentò Stefano Parisi e annunciò che sarebbe stato l'ex ad di Fastweb a correre per la poltrona di Primo cittadino, il Partito Democratico non sembrava particolarmente preoccupato dallo sfidante. Troppo poco conosciuto per essere considerato un concorrente temibile, contro Sala non avrebbe mai potuto vincere. Negli ambienti del Pd meneghino la sensazione di onnipotenza dovuta alla certezza della vittoria era palpabile. Con il passare delle settimane, qualcosa però inizia a incrinarsi: Forza Italia, che era data per spacciata, sembra in netta ripresa su Milano, la coalizione a sostegno del candidato Parisi macina consensi e i sondaggi commissionati mostrano un incessante e crescente interesse degli elettori verso lo sconosciuto manager liberale.
Verso l'inizio di maggio, un segnale. Un segnale molto forte: un sondaggio condotto da Tecné mostra il sorpasso di Parisi su Sala, in vantaggio di quasi due punti percentuali, ridottisi a +0,7% la settimana successiva. Un risultato che nessuno si sarebbe mai aspettato negli ambienti milanesi del Partito Democratico, nei quali si decise di non analizzare seriamente il campanello d'allarme che in quel momento stava risuonando chiaramente. Il Pd preferì puntare sulla strategia dello "gnorri", fingendo di non comprendere i segnali che provenivano dalle tanto vituperate statistiche elettorali. Nel frattempo, la stessa speculare situazione si verifica a Roma, con la Raggi in testa a tutti i sondaggi e Giachetti sempre più in calo. Anche in quell'occasione i risultati vennero minimizzati, con lo stesso Giachetti che dichiarò ai giornali: "I sondaggi? Li butto nel cestino". Giachetti al primo turno è stato ampiamente superato da Virginia Raggi e parteciperà al ballottaggio per un soffio: a meno di un punto percentuale di distanza, infatti, lo tallonava la Meloni, fuori dalla sfida delle amministrative per una manciata di voti. Anche a Napoli, stesso scenario: la candidata del Partito Democratico, in questo caso, è arrivata terza, con un risultato ampiamente al di sotto delle aspettative, ma rilevato dagli inutili sondaggi elettorali.
Partita ancora aperta al ballottaggio, ma le incognite sono svariate. Il Partito Democratico sembra rischiare non solo a Milano, ma anche nelle altre grandi città italiane impegnate nelle amministrative di giugno. I renziani sembrano avere fatto male i conti non solo con la scelta dei candidati, ma anche – anzi, soprattutto – con la scelta di una strategia politica e comunicativa suicida, imponendo ai vari candidati di ignorare i segnali di pericolo che continuavano a pervenire dai sondaggi elettorali e bollando come "inutile", "pretestuosa" o "cavillosa" ogni richiesta di chiarimento che perveniva dalla stampa, ad esempio relativa al bilancio di Expo, alla questione dell'incandidabilità di Sala o ad altre situazioni relative alla gestione dell'esposizione universale conclusasi lo scorso 31 ottobre.
Anziché fornire le risposte e spiegazioni richieste, si è preferito minimizzare e sottacere tutte le notizie potenzialmente capaci di minare l'efficace storytelling messo in campo dall'ineffabile staff renziano. La stessa tracotante e presuntuosa strategia è stata messa in campo un po' in tutta Italia e gli ottimi risultati sono sotto gli occhi di tutti. Insomma, se la vittoria certa di Sala al primo turno si è dovuta scontrare con la dura realtà di un "inaspettato" testa a testa con lo sconosciuto Parisi e una grande incognita al ballottaggio, la colpa è soprattutto della strategia politica messa in campo dal Partito Democratico in tutto il territorio nazionale, non del solo candidato milanese.