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Delitto Lidia Macchi, per la prima volta parla il presunto assassino: “Non l’ho uccisa io”

Per la prima volta dal suo arresto, il presunto assassino di Lidia Macchi, Stefano Binda, ha parlato di fronte ai giudici: “Sono innocente e non ho cercato di condizionare i testimoni”, ha detto il 48enne davanti ai giudici del Riesame che devono decidere sulla sua eventuale scarcerazione.
A cura di Francesco Loiacono
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Per la prima volta da gennaio ha deciso di parlare Stefano Binda, il 48enne in carcere a San Vittore con l'accusa di aver ucciso Lidia Macchi. Un delitto che risale a 29 anni fa: Lidia, giovane studentessa vicina a Comunione e liberazione, fu trovata cadavere nei boschi di Cittiglio, vicino Varese il 5 gennaio 1987. Sul suo corpo i segni di 29 coltellate e di un rapporto sessuale consumato. Secondo gli inquirenti, guidati dal procuratore generale di Milano Carmen Manfredda che ha fatto riaprire il "cold case", sarebbe stato proprio Binda, ex compagno di scuola di Lidia, a uccidere la ragazza. A inchiodare l'uomo, che frequentava gli stessi ambienti di Cl della vittima, una lettera anonima spedita ai genitori della ragazza il giorno dei funerali, con riferimenti fin troppo espliciti alle modalità della morte della ragazza. Una perizia calligrafica ha riconosciuto la grafia di Binda, identificandolo come autore della missiva. Ma questa prova è ritenuta insufficiente dai legali di Binda, Roberto Pasella e Sergio Martelli, che si sono rivolti al tribunale del Riesame per fare ricorso contro la decisione del giudice per le indagini preliminari Anna Giorgetti, che ha prolungato di altri tre mesi la custodia cautelare in carcere per Binda, in cella dallo scorso 15 gennaio.

Il presunto assassino di Lidia: "Sono innocente"

"Sono innocente e non ho cercato di condizionare i testimoni", ha detto il 48enne ai giudici secondo quanto riporta il Corriere della sera. Nelle altre occasioni in cui era stato interrogato si era sempre avvalso della facoltà di non rispondere, professandosi tranquillo rispetto alle accuse per voce dei suoi legali. Gli avvocati di Binda hanno inoltre contestato un'altra delle motivazioni che hanno spinto il gip a prolungare la custodia cautelare dell'indagato, cioè il possibile inquinamento delle prove. Secondo la procura generale di Milano, al contrario, Binda negli ultimi tempi avrebbe riallacciato i rapporti con i vecchi amici di Comunione e liberazione frequentati ai tempi del delitto di Lidia. Nei prossimi giorni arriverà il verdetto dei giudici del Riesame sull'eventuale scarcerazione di Binda.

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