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Autonomia della Lombardia, il referendum “inutile” a cui (quasi) tutti voteranno Sì

Per la maggior parte dei cittadini lombardi, secondo un recente sondaggio, sarà un referendum “inutile”. E così la pensano anche quei partiti che hanno criticato il referendum per l’autonomia della Lombardia del prossimo 22 ottobre. Eppure tanti amministratori locali, anche di centrosinistra, hanno annunciato che voteranno sì al referendum “inutile”: e la strategia dietro questa scelta è precisa.
A cura di Francesco Loiacono
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Per la maggior parte dei cittadini lombardi, secondo un recente sondaggio, sarà un referendum "inutile". E così la pensano anche quei partiti – Pd in primis, ma affiancato anche dalla leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni – che, fin da quando il referendum per l'autonomia della Lombardia è stato approvato (correva l'anno 2015, votò contro solo il Pd) lo hanno criticato sia per i costi, sia per i risultati che permetterà di ottenere.

Il referendum non avrà alcun effetto immediato

Quali sono questi risultati? Nei fatti, nessuno. Quello del prossimo 22 ottobre sarà infatti un referendum meramente consultivo, senza quorum (almeno in Lombardia, nello stesso giorno si vota anche in Veneto dove invece è previsto il quorum) e che arriva poco prima delle prossime Regionali, previste nel 2018. Certo, chi lo ha proposto (Movimento 5 stelle, attratto soprattutto dalla prima sperimentazione del voto elettronico, e Lega Nord) confida in una partecipazione massiccia dei lombardi, e in una schiacciante vittoria del "Sì", per dare più forza alle rivendicazioni di maggiore autonomia della Lombardia su quelle competenze per le quali però già adesso, secondo la Costituzione (articolo 116 terzo comma, richiamato nello stesso quesito referendario), il governo può concedere spazio alle regioni.

Qualsiasi sia il risultato, insomma, non impedirà l'apertura di una trattativa tra Roma e Palazzo Lombardia in merito. Trattativa che poteva peraltro essere già avviata (come ha dimostrato l'Emilia Romagna, senza bisogno di referendum). Ed è questo uno dei punti che più aveva sottolineato il Pd: "Maroni vuole passare alla storia come il presidente della Lombardia che ha speso 46 milioni di euro (poi i costi sono lievitati, secondo gli stessi democratici, ndr) per fare una cosa che si può fare gratis – aveva affermato il segretario regionale del Pd Alessandro Alfieri – Il referendum consultivo serve per avviare il percorso costituzionale per trasferire alla Lombardia maggiori competenze, cioè serve per indire una riunione a Roma". Pd che poi, però, ha lasciato libertà di voto ai propri iscritti. Perché?

Le dichiarazioni ambigue di chi voterà sì pur non condividendo il referendum

Perché, con l'avvicinarsi della data del 22 ottobre, si è via via assistito a una schiera di dichiarazioni di voto quantomeno ambigue. Cosa è accaduto? Che in pratica molti amministratori locali, anche di centrosinistra – dal sindaco di Milano Beppe Sala a quello di Bergamo Giorgio Gori, candidato del Pd alle prossime Regionali – così come molti ex illustri amministratori di partiti diversi (su tutti l'ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni), pur non smettendo di sottolineare l'inutilità del referendum, hanno dichiarato che voteranno a favore. È curioso mettere in fila alcune loro dichiarazioni: "Voterò sì, anche se sono amareggiato e deluso perché l’autonomia è una cosa seria che viene affrontata in modo banale — ha detto l'ex Celeste Formigoni,  attuale senatore di Area Popolare —. Il quesito è molto vago. È come chiedere se vuoi bene alla mamma, tutti rispondono sì. Se Maroni avesse voluto, avrebbe potuto chiedere di aprire la trattativa con il governo su una maggiore autonomia della Lombardia in qualsiasi momento, anche oggi". Questo invece Sala: "Condivido il fatto che si potevano trovare altre formule e non fare il referendum, però voterò si. Il mio invito è ad andare a votare nella consapevolezza che il referendum si poteva anche evitare. Ormai il referendum c'è, quindi andiamo a votare e votiamo sì".

La strategia dietro la posizione ambigua

"Voto sì, ma…" è insomma la posizione di tanti. Che nasconde (ma neanche tanto) una precisa strategia: non lasciare che i meriti di un eventuale vittoria schiacciante dei sì finiscano solo alla Lega e ai Cinque stelle, ma allo stesso tempo prepararsi la "via d'uscita" indolore nel caso in cui il referendum dovesse rivelarsi un flop: "L'avevamo detto noi che era inutile", sembra già di ascoltare. Anzi, c'è chi, come Giorgio Gori, ha già messo le mani avanti: "Il 22 io voterò SÌ, per ragioni VERE, non certo per le promesse fasulle con cui la Giunta regionale sta promuovendo la consultazione. Mi auguro che l’affluenza sia buona, altrimenti chi ha promosso questa inutile consultazione si dovrà prendere la responsabilità di aver posto un pesante ostacolo sul cammino della maggiore autonomia regionale", ha scritto su Facebook.

L'ultimo sforzo della Regione Lombardia: le lettere a casa dei cittadini

Come dire, se vinciamo vinceremo tutti, se perdiamo perderà chi ha promosso il referendum. Soprattutto la Lega, che in questa consultazione ci ha messo lo spirito (vedasi alla voce dei contestati video spot elettorali in dialetto lombardo con il fratello dell'attore Antonio Albanese, Ignazio) e anche il corpo: oltre 55 milioni il costo del referendum per la Regione, secondo il Pd. L'ultimo atto di una campagna informativa istituzionale martellante (che campeggia sulle fiancate e perfino sulle ricevute dei taxi, sui cartelloni giganti in giro per la città, sui mezzi di informazione) è stato l'invio di cartoline informative a casa dei lombardi: con la speranza che anche loro magari, pur non capendo l'utilità del referendum, vadano in massa a votare per dire che vogliono bene alla loro mamma.

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