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Tifo, droga e amicizie pericolose: Luca Lucci, capo ultrà del Milan con beni per un milione di euro

L’ascesa di Luca Lucci come leader della Curva sud milanista è un romanzo criminale che intreccia tifoseria estrema, traffico internazionale di droga, legami e amicizie con esponenti di famiglie malavitose albanesi, marocchine e calabresi. La divisione anticrimine ha ricostruito il suo curriculum in occasione del sequestro di beni per circa un milione di euro a lui riconducibile eseguito ieri: ecco chi è il capo ultras del Milan.
A cura di Salvatore Garzillo
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Luca Lucci (nel cerchio rosso), alla festa per i 50 anni della Curva Sud del Milan (Foto LaPresse)
Luca Lucci (nel cerchio rosso), alla festa per i 50 anni della Curva Sud del Milan (Foto LaPresse)

Luca Lucci è "un soggetto pericoloso". È il suo curriculum criminale a dirlo, sono le indagini della squadra mobile di Milano a confermarlo e, soprattutto, è il tribunale a certificarlo. A 38 anni è il capo indiscusso degli ultras del Milan, un titolo conquistato sul campo, con scontri dentro lo stadio e amicizie pericolose negli ambienti della malavita albanese, marocchina e delle cosche calabresi. Sarà un caso, ma la sede del tifo milanista si chiama “Clan 1899”. La direzione è affidata sulla carta alla moglie, nei fatti è Lucci il padrone, pur risultando solo come dipendente. Un collaboratore che nel 2018 ha dichiarato 39.774 euro. Il club si trova in via Sacco e Vanzetti 153, a Sesto San Giovanni, ufficialmente è un Acsi (Associazione centri sportivi italiani) senza fine di lucro ma secondo i giudici fattura come un qualunque locale oltre a essere "una base operativa per riunioni attinenti il traffico di stupefacenti e per ritiri o consegne di droga anche in contesti di criminalità organizzata". Sebbene all’anagrafe tributaria non risulti formalmente avere volume d’affari, dall’analisi dei conti correnti compaiono somme in contanti per 99mila euro nel 2017 e 55mila nel primo semestre 2018.

L'ultimo sequestro

Il “Clan 1899” è tra i beni sequestrati ieri mattina dalla divisione Anticrimine della questura di Milano, un provvedimento che ha portato via a Lucci quasi un milione di euro. Nel calcolo rientrano un’Audi Q5 pagata 36mila euro e un appartamento a Scanzorosciate (Bergamo), comprato nel 2017 con un mutuo cointestato alla moglie di 200mila euro. Per Lucci è stato un risveglio amaro, ha ricevuto la notizia nella sua abitazione, da uomo libero. L’ultima volta che è stato arrestato era il 4 giugno 2018, l’indagine coordinata dal procuratore aggiunto Laura Pedio e dal sostituto Andrea Fraioli riguardava due gruppi paralleli di trafficanti. Un’ordinanza destinata a 22 persone (18 italiani, tre albanesi e un romeno), in cui il capo ultrà compariva come l’anello di congiunzione per consentire ai trafficanti balcanici di portare la droga a Milano passando dalla Spagna. Nel provvedimento di ieri è descritto come "una persona potenzialmente capace di piazzare grossi carichi di stupefacenti tra i frequentatori dello stadio grazie al ruolo carismatico di leader della curva Sud milanista" e "alla collaborazione con soggetti di elevato spessore criminale".

Nei fascicoli dei pm dal 2006

Il suo nome compare nei fascicoli dei pubblici ministeri dal 2006, quando il pentito Luigi Cicalese (considerato "un collaboratore di giustizia di indiscussa credibilità intrinseca") lo tirò in ballo durante rivelazioni sull’omicidio dell’avvocato Marianna Spinella, uccisa la sera del 7 ottobre nell’androne della sua casa di Redecesio con sette colpi di pistola sparati alla schiena. Cicalese disse di aver ricevuto l’auto “pulita” per andare sul luogo dell’omicidio da Daniele Cataldo, al quale era stata consegnata proprio da Lucci.

Racconta Cicalese: "Già sapevo sulla base di confidenze ricevute dallo stesso Cataldo che questo Luca smerciava cocaina per conto di Cataldo e ‘lavorava' in modo serio. Proposi a Luca se voleva continuare a ritirare cocaina da me alle stesse condizioni che facevo a Cataldo, vale a dire ad un prezzo di 48-50 euro al grammo. Luca accettò. Gli suggerii di riconoscere comunque una parte di guadagno alla moglie di Cataldo. A novembre 2006, ho fatto a Luca due forniture, a distanza di una decina di giorni l’una dall’altra, di 500 grammi di cocaina per volta. Luca è sempre giunto agli appuntamenti con il suo scooter. Luca era puntuale nei pagamenti".

Lucci non sarà mai indagato per la vicenda, il pregiudicato Cataldo sarà poi arrestato nel 2015 poiché nel suo box a Sesto San Giovanni vennero trovate 13 armi (pistole, fucili a canne mozze, una mitraglietta modello Skorpion completa di silenziatore, una penna pistola e un giubbotto antiproiettile) e panetti di droga (21 chili di hashish e 700 grammi di cocaina) su cui era impressa la parola “Expo”. Cataldo, convinto di essere destinatario di una misura, si consegnerà spontaneamente alla polizia accompagnato, oltre che dal suo difensore di fiducia, da Lucci.

Il giorno in cui divenne leader degli ultras

Nel 2008 la Squadra mobile avvia un’indagine su Giancarlo “Sandokan” Lombardi, allora capo ultras del Milan e molto legato a Lucci. Tanto che quando lo arrestano per spaccio nel 2009, gli cede il posto alla guida della tifoseria. Gli investigatori documentano molti incontri tra i due, Mario Diana (altro leader storico degli ultras) e Giorgio Fabio Ferrabue, un pregiudicato per traffico di stupefacenti estraneo al mondo del calcio. Fino a questo momento Lucci è sconosciuto ai media, il suo nome finisce sui giornali dopo gli scontri nel derby Milan-Inter del 15 febbraio 2009, durante i quali sferra un pugno all’interista Virgilio Motta che gli farà perdere un occhio. La lite era nata per la rimozione di uno striscione milanista che copriva la visuale agli interisti. Motta tenta invano di recuperare la vista, gli interventi non servono a nulla. Il tribunale condannerà Lucci per lesioni (4 anni e 6 mesi, più un Daspo di 5 anni) ed altri imputati al pagamento di 140mila euro. Ma risultano nullatenenti, il ferito non vedrà mai tale cifra e non sarà in grado di pagare le operazioni. A tre anni da quel giorno, dopo un accordo per ottenere piccoli versamenti, Motta si impiccherà in casa.

Il "Clan 1899" come base per gli affari

Nel 2011 arrivano nuove segnalazioni a carico di Lucci in cui è indicato come piccolo trafficante nell’ambiente del tifo oltre che "soggetto ricollegabile a personaggi di elevato spessore criminale". L’anno successivo finisce in una grossa inchiesta sul traffico internazionale che porta al sequestro di 3 tonnellate di hashish, dalle intercettazioni emerge che la droga è comprata da componenti della famiglia calabrese Trocino, importata da Francesco Massimiliano Cauchi e poi rivenduta al dettaglio ad alcuni ultras milanisti tra cui Lucci. È in questa fase che emerge per la prima volta la sede del “Clan” come luogo di ritrovo per discutere di affari. Il 2016 è l’anno di un’altra indagine che porta nel 2018 ai 22 arresti sopra citati. Ancora una volta la droga è consegnata al “Clan”. Intanto Lucci finisce indagato nell'ambito di un'inchiesta della squadra mobile di La Spezia, in cui si ipotizza il suo tentativo di importare dal Marocco una partita di hashish per 200mila euro. L’affare salta perché l’intero carico viene sequestrato in Spagna dalla polizia locale. Per l’ennesima volta il “Clan 1899” è la base logistica per ultimare i dettagli organizzativi.

Amici e società

Per avvalorare la pericolosità sociale di Lucci il tribunale evidenzia le sue amicizie pericolose, in particolare con Rosario Calabria, legato da parentela a "famiglie della criminalità organizzata di origine calabrese attive in Lombardia". I due erano soci del ristorante “I Malacarne srl” di Cologno Monzese assieme ad Islam Hagag, Antonio Rosario Trimboli e Antonio Gullì, "questi ultimi personaggi (si legge nel provvedimento) legati a famiglie della ‘ndrangheta ionica e con precedenti penali riguardanti sostanze stupefacenti ed altro". Calabria e Trimboli, originari di Locri, "già nel 2007 furono arrestati assieme a Domenico Papalia, figlio del più ben noto Antonio Papalia detto “u’Carciuto o Totò”, elemento di vertice dell’omonima cosca capeggiata dal fratello Domenico".

Lucci possiede il 15 per cento di un’altra società, la “Kobayashi srl”, il cui oggetto sociale è la gestione di bar, ristoranti, l’organizzazione di eventi e la vendita di abbigliamento. Il resto delle quote è diviso tra i pluripregiudicati Giancarlo Lombardi e Michele Cilla (quest’ultimo con precedenti per ricettazione, associazione a delinquere finalizzata alla truffa, truffa ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, estorsione e rapina, appropriazione indebita, percosse, diffamazione). La moglie di Lucci, invece, risulta socio e amministratore di un’altra società di cui divide le quote al 50 per cento con Davide Salvatore Tedesco, fratello di Marianna, "la quale a sua volta, da notizie in possesso della Digos sarebbe legata per motivi di lavoro a Loris Grancini, leader del gruppo di tifosi organizzati ‘Vikings' della Juventus". Lo stesso Grancini "sottoposto a procedimento penale per estorsione, avendo minacciato una società di ticketing con sede in Lombardia affinché gli procurasse biglietti per le partite della Juventus, fatti per cui è stato arrestato e condannato". Soldi, contatti, amicizie, affari, violenza, tutto ruota attorno allo stadio. E quindi ha senso che l’ultimo episodio elencato dall’anticrimine per tracciare il profilo di Lucci riguardi l’aggressione avvenuta a settembre durante Milan – Sassuolo, quando ha preso a pugni un tifoso che aveva osato afferrare in contemporanea con lui una maglia lanciata da un calciatore a fine gara.

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