Processo per l’omicidio di Lidia Macchi: un testimone scagiona Binda
Prosegue, tra dichiarazioni contrastanti, il processo per l'omicidio di Lidia Macchi, studentessa universitaria uccisa nei boschi di Cittiglio, vicino Varese, nel gennaio del 1987. Nel corso dell'udienza che si è svolta ieri davanti alla Corte d'Assise di Varese un testimone ha confermato l'alibi dell'unico imputato per il delitto, il 49enne Stefano Binda: "Era in vacanza con noi a Pragelato, dormiva nella mia stessa camerata", ha detto il teste davanti ai giudici. Una testimonianza che è stata confermata anche da un'altra persona, ma che contrasta con quanto affermato da altri testimoni e con quanto sostiene l'accusa: secondo i pubblici ministeri Binda non era in Piemonte (Pragelato si trova tra le montagne piemontesi) tra il 5 e il 6 gennaio, periodo di tempo in cui è stata uccisa Lidia, ma si trovava nel Varesotto.
Un testimone: "Binda era in vacanza in Piemonte"
D'altronde le prove a carico di Binda, ex compagno di liceo di Lidia e come lei in quegli anni vicino all'ambiente di Comunione e Liberazione, restano molto pesanti, tali da giustificare l'arresto dell'uomo, da gennaio dello scorso anno recluso a San Vittore. Binda si è però sempre proclamato innocente, affermando che nei giorni in cui avvenne il delitto era in vacanza con un gruppo di Gioventù studentesca. Una testimonianza che adesso trova ulteriori conferme: il teste intervenuto in aula, che lo scorso ottobre aveva affermato di non ricordare la presenza di Binda nella vacanza, ha cambiato la sua testimonianza. Ha spiegato di aver paura di non essere creduto, perché lo stesso era accaduto all'altra persona che finora aveva confermato la presenza di Binda tra le montagne di Pragelato: "Quando ero stato sentito in ottobre ho detto di non ricordare. Adesso ricordo che c’era. Il primo imput è stato dopo l’arresto di Binda. Ho pensato e ripensato. Ho ricordato il letto a castello. Io dormivo sempre sopra. Chi c’era sotto? Stefano Binda".
Tra le prove considerate schiaccianti dall'accusa c'è il poema "In morte di un'amica", recapitato in forma anonima ai genitori di Lidia il giorno dei funerali della ragazza. Secondo gli inquirenti conterrebbe riferimenti al delitto che solo l'assassino poteva conoscere. Secondo diverse perizie calligrafiche sarebbe stato proprio Binda a scriverlo, anche se la difesa dell'imputato aveva affermato di aver individuato il vero autore della missiva. Per sapere a chi daranno ragione i giudici bisognerà attendere il prosieguo del processo.