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Omicidio di Lidia Macchi, 30 anni dopo a processo l’ex compagno di liceo Stefano Binda

Il 12 aprile del 2017, a oltre 30 anni dalla morte di Lidia Macchi, si aprirà il processo per l’omicidio della giovane studentessa di Comunione e liberazione, uccisa con 29 coltellate nei boschi di Cittiglio vicino Varese, il 5 gennaio del 1987. L’imputato, accusato di omicidio volontario con diverse aggravanti, è l’ex compagno di liceo Stefano Binda, in carcere dallo scorso gennaio.
A cura di Francesco Loiacono
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Il 12 aprile del 2017, a oltre 30 anni dalla morte di Lidia Macchi, si aprirà il processo per l'omicidio della giovane studentessa di Comunione e liberazione, uccisa con 29 coltellate nei boschi di Cittiglio vicino Varese, il 5 gennaio del 1987 (qui tutta la storia). Il giudice per l'udienza preliminare di Varese, Anna Azzena, ha infatti rinviato a giudizio Stefano Binda. Il 48enne, ex compagno di liceo di Lidia e come lei frequentatore degli ambienti di Comunione e liberazione, è in carcere a San Vittore dallo scorso gennaio, unico accusato per l'omicidio. Secondo gli inquirenti, guidati dal sostituto procuratore generale Carmen Manfredda che ha dato nuovo impulso al caso dopo averlo avocato dalla procura di Varese, è lui che accoltellò per 29 volte Lidia dopo aver avuto con lei un rapporto sessuale. Il corpo della ragazza, non ancora 21enne, fu trovato dopo giorni nei boschi: morì per le ferite e per il freddo dopo una lunga agonia.

Binda si è sempre proclamato innocente

Binda si è sempre proclamato innocente: finora tutte le richieste di scarcerazione avanzate dai legali dell'uomo erano state respinte. Quasi scontata, dunque, è arrivata la decisione del gup di Varese: gli elementi a carico di Binda sono troppo rilevanti e serve un processo per valutarli correttamente. Tra questi, la prova principale, in assenza di quella del Dna (gli esami furono eseguiti all'epoca del delitto, primo caso in Italia, ma oramai sono inservibili dopo una serie di incredibili errori avvenuti in procura) è una lettera anonima inviata ai genitori di Lidia il giorno del funerale della ragazza. Conterrebbe elementi dettagliati sulla morte della giovane e, in seguito a una dichiarazione di un'amica di Binda, sarebbe stata scritta proprio dal 48enne. La testimone, dopo aver visto la lettera sul quotidiano "La Prealpina", è andata a riprendersi le cartoline che Binda le aveva inviato e ha notato una forte somiglianza nella grafia, avvisando di questa circostanza gli inquirenti.

Adesso la famiglia della ragazza (ieri erano presenti in aula la madre e la sorella), spera che il processo possa arrivare a delle risposte 30 anni dopo la tragedia che ha sconvolto le loro vite. I parenti di Lidia si sono costituiti parte civile. Ieri la madre, Paola Bettoni, si è guardata negli occhi con la persona accusata di essere l'assassino della figlia: "Se è stato lui spero che prima o poi confessi. Chiedo solo che emerga la verità, ci spero fino all'ultimo". Spetterà ai legali dell'imputato invece la scelta di chiedere o meno un rito alternativo al processo dibattimentale, per esempio il rito abbreviato.

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