Niccolò Bettarini dopo l’aggressione: “Torno a fare il calciatore, è il mio sogno”
Dopo la violenta aggressione subita davanti alla discoteca Old Fashion di Milano, Niccolò – Nick – Bettarini, figlio maggiore dell'ex calciatore Stefano Bettarini e di Simona Ventura parla a Fuorigioco, il settimanale della Gazzetta dello Sport e oltre dell’aggressione avvenuta a Milano dove il ragazzo stato accoltellato 11 volte traccia anche il suo futuro che – dice – è nel calcio, visto che attualmente è tesserato della Triestina. "Questo è il mio sogno – dice alla ‘rosea' – grazie anche a mio padre che mi ha trasmesso la passione per questo meraviglioso sport pieno di valori: lo spogliatoio, il rispetto per il prossimo, la voglia di aiutarsi a vicenda. Questo è uno sport che ti forma nel carattere. Ci sono momenti belli come bui, esattamente come nella vita. Mio padre non mi ha mai voluto forzare nel calcio dicendomi che ognuno deve fare ciò che ama". Il giovane è un difensore, "come Paolo Maldini che è il mio modello calcistico di riferimento. La sua storia assomiglia alla mia con un padre che aveva lasciato il segno nella storia del calcio. Lui ha dato il doppio degli altri ed è riuscito a esser vincente anche più del padre: per me è davvero fonte di ispirazione".
Della vicenda violenta di domenica 2 luglio racconta: "Non sono uno che passa il sabato a casa, all’Old Fashion ho festeggiato anche il mio diciottesimo, è un locale dove mi son sempre divertito e sentito protetto, così quel sabato avevo deciso di andarci con la mia compagnia. Al momento di uscire, era quasi mattina, ho notato con la coda dell’occhio le solite baruffe, routine tipiche della movida milanese all’uscita dei locali. Era ora di rientrare a casa, ma dall’altra parte della strada la mia migliore amica, Zoe, ha iniziato a chiamarmi, urlandomi che stavano picchiando il nostro amico Andrea, un pr e organizzatore di eventi che conoscevo da parecchio tempo a cui Zoe era legatissima. Tre ragazzi lo accerchiavano e così mi sono buttato su di loro per difenderlo. Da lì è iniziato il finimondo. È stato un istinto di protezione fortissimo che non avrei potuto reprimere. Non sono tipo da pormi domande se c’è di mezzo un amico, darei la vita per i miei amici. E infatti stavo per perderla, la vita! Sono arrivati altri ragazzi, ci hanno aggredito, anzi ‘mi’ hanno aggredito: ero cosciente, ricordo tutti i particolari, ho sentito che mi avevano riconosciuto e che ‘volevano ammazzarmi’ perché sapevano chi fossi. Erano dieci, ho tentato di difendermi e parare i loro colpi. Mi ricordo di essere caduto a terra a un certo punto e Zoe si è buttata sopra di me per proteggermi da quella furia di violenza. Non si sono fermati, l’hanno riempita di calci: loro volevano la mia vita, mi era chiarissimo. Sono tutte persone che hanno un passato di crimini e risse".
Infine, la scelta di tornare subito attivo, anche sui social network: "L'ho fatto – dice – il mio bene e per quello di chi mi è intorno, reagire è stato fondamentale. Sono convinto che i miei coetanei abbiano capito il mio messaggio. Non conta che sia accaduto a me, è un fatto ciò che è accaduto: occhio, ragazzi, fate attenzione perché si può perdere tutto in un soffio. Volevo che fosse chiaro”.