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Monza, morto il giudice Giuseppe Airò: una vita in tribunale, seguì i casi Seveso e ‘sistema Sesto’

Lutto al tribunale di Monza per la scomparsa del giudice Giuseppe Airò, morto a 67 anni dopo una lunga malattia. Era presidente della Corte d’Assise e vicario alla presidenza del tribunale. Nel corso della sua lunga carriera ha giudicato alcuni dei casi più importanti per la zona, tra cui quello sul disastro diossina di Seveso e il maxi processo sul ‘sistema Sesto’.
A cura di Simone Gorla
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Lutto al tribunale di Monza per la scomparsa del giudice Giuseppe Airò, morto a 67 anni dopo una lunga malattia. Era presidente della Corte d'Assise e vicario alla presidenza del tribunale. Nel corso della sua lunga carriera ha giudicato alcuni dei casi più importanti per la zona, tra cui quello sul disastro di Seveso e il maxi processo sul ‘sistema Sesto'.

Monza, morto a 67 anni il giudice Giuseppe Airò

Arrivato a Monza dai primi anni '80, Airò ha guidato la Corte in moltissimi dei casi giudiziari balzati alle cronache negli ultimi decenni. Quello più noto è sicuramente il dramma della diossina a Seveso. Airò condusse il processo ai vertici Icmesa e Givaudan per il disastro del 1976. Si occupò anche del sequestro e l'omicidio di Adelmo Fossati nel 1980. Negli ultimi anni l'impegno per il maxi processo "Sistema Sesto", conclusosi con l'assoluzione dell'ex presidente della provincia di Milano Filippo Penati, anche lui recentemente scomparso.

Processò i vertici Icmesa per il disastro di Seveso e giudicò il ‘sistema Sesto'

"Pino Airò era una colonna portante del Tribunale di Monza – ha dichiarato Manuela Massenz, procuratore aggiunto di Monza – un uomo dal profondo senso della giustizia e con grande capacità di comunicare con tutti, imputati e testimoni". Airò si era speso molto per migliorare il funzionamento della macchina giudiziaria, cfirmando di numerosi protocolli. Aveva chiesto l'intitolazione di un'aula del tribunale al procuratore capo di Bergamo Walter Mapelli, per anni magistrato a Monza, morto la scorsa primavera. "Era amatissimo da tutti i colleghi – ha aggiunto Massenz – e non si lasciava imbrigliare dalla forma a discapito del raggiungimento della verità processuale"

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