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Militare ferito alla stazione Centrale di Milano: per la procura c’è la finalità di terrorismo

Il ragazzo di 23 anni che ieri ha aggredito con un paio di forbici un militare alla stazione Centrale di Milano dovrà rispondere di tentato omicidio con finalità di terrorismo o eversione. La procura ha contestato al giovane, un cittadino yemenita che viveva senza fissa dimora vicino alla stazione, la finalità terroristica: il ragazzo, quando era stato fermato dai carabinieri, aveva urlato “Allah akbar”.
A cura di Redazione Milano
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Tentato omicidio con finalità di terrorismo o eversione. È questa una delle accuse – oltre a quella di violenza a pubblico ufficiale – di cui deve rispondere Mahamad F., il ragazzo di 23 anni che ieri, alla stazione Centrale di Milano, ha aggredito con un paio di forbici un militare dell'Esercito ferendolo al collo. Fortunatamente il caporale scelto Matteo Toia, che era in servizio allo scalo ferroviario nell'ambito dell'operazione "Strade sicure", non è grave: è stato trasportato in codice verde all'ospedale Fatebenefratelli. Il suo aggressore, un cittadino yemenita non in regola col permesso di soggiorno, dopo l'aggressione è fuggito ed è stato arrestato dai carabinieri anche grazie all'aiuto di un passante. Proprio al momento del fermo il 23enne avrebbe urlato "Allah akbar", esclamazione che negli ultimi anni è stata spesso associata agli attentati terroristici di matrice jihadista, ma che è anche un'espressione molto comune per i credenti di fede islamica, che la utilizzano in diverse circostanze.

Il ragazzo era noto per le simpatie islamiche

Il procuratore Alberto Nobili, a capo del pool antiterrorismo di Milano, dopo alcuni accertamenti ha contestato al 23enne la finalità terroristica tra le accuse, anche se proseguono gli accertamenti in tal senso. Il 23enne era a quanto pare un soggetto noto: prima di arrivare in Italia viveva in Germania e le autorità tedesche avevano segnalato le sue "simpatie islamiche", anche se si trattava di una segnalazione senza alcuno spunto di indagine. Il ragazzo viveva da qualche tempo nei dintorni della stazione Centrale: faceva parte di quel sottobosco di disperati, clochard e migranti senza lavoro e documenti che orbitano attorno allo scalo ferroviario, che continua a rimanere una ferita aperta nel cuore di Milano.

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