"Non esiste alcun sistema preventivo sicuro per la corruzione: a volte appalti perfetti celano fenomeni di corruzione. Non ho nessuna sicurezza che i nostri controlli impediscano la corruzione, la rendono sicuramente più difficile". Così parlava Raffaele Cantone ed era giusto un anno fa, in audizione davanti alla Commissione Antimafia. Oggi evidentemente il presidente dell'Autorità
nazionale anticorruzione, folgorato sulla via dei Navigli non la pensa ugualmente. Milano "si riappropria del ruolo di capitale morale d'Italia" dice il magistrato campano, contrapponendola a Roma che invece "non ha anticorpi". Da un uomo della statura morale di Raffaele Cantone accettiamo questa dichiarazione ritenendola come uno sprone a non arrendersi, a non lasciare il Paese nelle mani dei predoni degli appalti, degli sciacalli della Pubblica amministrazione, degli avvoltoi della spesa pubblica le opere, le speranze e i sogni del Paese.
Tuttavia non possiamo non ricordare che nemmeno un anno fa lo stesso Cantone implorava il commissariamento delle gare d'appalto delle architetture di servizio di Expo 2015 (luglio 2015), che denunciava la mancanza di un sistema di controllo sui padiglioni stranieri dell'Esposizione Universale (ottobre 2015). Non vorremmo ricordare, poi, il caso delle Vie d'acqua e di Primo Greganti e la raffica di interdittive antimafia per aziende in odore di ‘ndrangheta.
Dunque di quale capitale morale stiamo parlando? Della città che faticosamente, con l'ausilio di strumenti straordinari e tuttavia troppo tardi, è riuscita ad arginare le fameliche formiche degli appalti? Non certo dei campioni d'onestà da fiction di Raiuno. All'ombra del Duomo non c'è un clima da Suburra, siamo d'accordo. Ma solo perché i protagonisti di questo romanzo criminale girano invisibili tra capitolati d'appalto e ricorsi al Tar.