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Milano, cadavere fatto a pezzi e bruciato tra i rifiuti: ammazzato per aver fatto la spia

Il personaggio chiave di questo omicidio si chiama Tonio. Non ha mai messo piede sulla scena, la sua identità non è stata neppure accertata del tutto dagli investigatori, ma questa storia ruota attorno al suo nome.
A cura di Salvatore Garzillo
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«Il corpo danneggiato dall’azione del fuoco era suddiviso in sei parti con amputazione del capo, degli arti superiori (in corrispondenza dei gomiti) e degli arti inferiori (in corrispondenza delle ginocchia)». Partiamo da qui, dalle parole che il medico legale ha usato per descrivere il cadavere di Cristian, il colombiano di 23 anni ucciso il 30 marzo scorso durante una grigliata a casa di amici nella villetta di Carlo Carrà 11, periferia nord di Milano. Il suo corpo smembrato è stato trovato alle 22.15 in un’area rifiuti in via Cascina dei Prati 25, a poche centinaia di metri dall’abitazione, è stato portato lì in un trolley caricato su un carrello della spesa. I suoi assassini speravano di cancellare le prove usando la benzina. Tre colombiani sono stati bloccati per la sua morte: Ronaldo Jhonatan Vega Hernandez detto “Pericles”, di 21 anni, il coetaneo Dilan Mateus Carddenas detto “Mateo”, e il 38enne Arley William Gomez Arango. Quest’ultimo non è accusato dell’omicidio ma solo di aver fatto a pezzi il corpo e di aver tentato di distruggerlo.

La mattina successiva al ritrovamento gli uomini della Squadra mobile si sono fermati davanti alla casa al civico 11, sono stati colpiti dalle macchie di sangue sul lastrico dell’ingresso, sull’ombrellone nel giardino e all’interno del capanno in fondo al cortile. Mentre i poliziotti parlavano con la proprietaria del secondo piano è apparsa “in stato confusionale” la titolare dell’abitazione del piano terra. «Voi sapete già tutto, vero?», ha detto tra le lacrime, «portatemi via di qui, vi dirò tutto… quello che ho visto stanotte è stato terribile, non posso tenerlo dentro, è troppo». La donna in questione è la moglie di Arley William Arango Gomez, col quale ha occupato abusivamente l’alloggio dove vive con la figlia di 2 anni. In questura ha raccontato che la sera prima, per festeggiare il proprio compleanno, erano venuti a casa sua alcuni amici: «Il cugino del mio compagno, che io conosco col soprannome di Pericles, un altro ragazzo colombiano, Dilan Cardenas detto Mateo, e un terzo di nome Cristian col quale avevano fatto festa fino alle prime ore del pomeriggio, quando Pericles e Mateo avevano litigato al telefono con un connazionale di nome Tonio che si trovava a Pioltello».

Ed ecco Tonio. «È una persona che voleva uccidermi già quando ero in Argentina – ha dichiarato ai magistrati Hernandez “Pericles” – Non conosco il suo cognome ma so che voleva ammazzarmi perché sono stati i suoi amici a spararmi». Hernandez è stato effettivamente ferito all’addome da colpi di pistola in Sudamerica, e un mese fa è venuto in Italia proprio per subire un’operazione di ricostruzione. Motivo per cui, a suo dire, non avrebbe bevuto alcol durante il pomeriggio. Secondo quanto ricostruito, a un certo punto Hernandez e Carddenas hanno litigato al telefono con Tonio, finché Gomez e la compagna sono usciti in auto per cercarlo. Ma i due colombiani si sono accorti che Cristian, arrivato in Italia da due giorni e amico di Tonio, gli aveva inviato un messaggio per avvisarlo di stare attento. Ne è nata una discussione accesa, durata almeno due ore (secondo il racconto di una vicina). Hanno scritto a Gomez e alla compagna di tornare perché non avrebbero trovato Tonio ma quando sono rientrati era già accaduto tutto. «Non c’era nessuno in casa, siamo usciti in giardino, pensando di chiamare i nostri amici Pericles e Mateo».

«Quest’ultimo ha aperto la porta della casetta che si trova in giardino – ha detto la compagna di Gomez – All’interno era buio, ho visto solamente la luce accesa di un telefonino, quella del flash. Ho chiesto che cosa facessero al buio e subito dopo ho acceso la luce. Qui ho potuto vedere che Cristian era adagiato semi seduto su dei sacchi di plastica, con la gola tagliata, qualcosa che sembravano dei buchi sul petto e il sangue che colava davanti. Sono rimasta scioccata e ho guardato mio marito. Pericles stava sulla destra, in piedi ma leggermente abbassato sulle ginocchia, e oltre al telefonino, teneva entrambe le mani di Cristian. Mateo invece era alla mia sinistra, e ricordo con certezza che aveva un coltello lungo in mano di 30 centimetri. Ho chiesto cosa fosse successo ma gli altri due mi hanno detto “no paso nada, tranquilla” e mio marito ha detto “vattene subito in casa”. Ho preso la bambina e sono entrata». La donna racconta che poco dopo è rientrato anche il marito con gli abiti completamente sporchi di sangue, si è spogliata e ha fatto la doccia.

«Con la scusa di recuperare i piatti sporchi sono uscita nel cortiletto e ho chiesto dove fosse Cristian – ha continuato la testimone – Uno dei due mi ha detto “è lì”, e mi ha indicato un carrello del supermercato con all’interno un trolley beige. Guardando meglio, perché non capivo, ho visto che dalla valigia uscivano dei capelli e del sangue che colava a gocce. Sopra la valigia c’era anche qualcos’altro che hanno usato per coprire il tutto, un sacchetto e un cartone. Sono rientrata di corsa in casa con i piatti e subito dopo sono arrivati gli altri due, anche loro sporchissimi di sangue, con ancora i brandelli di carne attaccati alle braccia. Si sono spogliati e si sono lavati». Infine hanno messo tutti gli abiti in un sacchetto e hanno chiesto alla donna di lavarli. Sono le 19.30. Gomez è uscito per andare a comprare la benzina ma lungo il percorso ha avuto un piccolo incidente stradale. Ha quindi chiamato la moglie chiedendole di andare sul posto perché non aveva la patente. Rientrata, attorno alle 22, ha visto i tre uscire col trolley nel carrello. Lo hanno portato al gabbiotto dei rifiuti e hanno dato fuoco al tutto.

Ma la storia non è finita, perché a quel punto sono stati aggrediti da un gruppo di ragazzi dei palazzi antistanti per aver appiccato l’incendio alla spazzatura.
Gomez è rientrato, ha preso delle gocce e si è addormentato sul divano. La polizia lo ha catturato attorno alle 12 del giorno dopo alla fermata del pullman in zona. Hernandez è tornato a casa ma dopo un po’ è andato al suo appartamento di Cinisello Balsamo che divideva con Mateo; lo hanno preso il giorno dopo all’aeroporto di Malpensa mentre tentava di partire per Madrid. Mateo non è più passato in via Carrà né a Cinisello, si è messo subito in viaggio per la Francia: martedì è stato bloccato a sud di Parigi.
La versione finora descritta è quella della moglie di Gomez, che è comunque considerata di “qualificata probabilità”. Va detto che Hernandez, piangendo, ai magistrati ha fornito un quadro diverso, in cui Gomez è autore dell’omicidio e lui e Mateo semplici spettatori che hanno aiutato nella seconda fase. «Gomez ha sposato mia zia – ha spiegato Hernandez – ma poi è scappato dalla Colombia lasciando lei e una bambina di 12 anni e si è sposato» con l’attuale compagna. Quest’ultima «mi dà la colpa per vendicarsi di mia zia, perché io sono il nipote preferito».

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