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Milano, Bonini (Cgil): “Il problema non è lo smart working, il modello post Expo si è sbriciolato”

“Non è lo smart working la causa dell’aumento della disoccupazione. Se il sindaco Sala vuole tornare indietro, al 21 febbraio, commette un errore”. Massimo Bonini, 43 anni, segretario di Cgil Milano, interviene nel dibattito provocato dalle parole del primo cittadino sulla necessità di “tornare al lavoro”. Il numero uno della Camera del lavoro, intervistato da Fanpage.it, invita ad accelerare sul cambiamento dei modelli sociali, economici e organizzativi. “Il modello post Expo si è sbriciolato di fronte all’emergenza sanitaria”.
A cura di Simone Gorla
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"Dietro la vetrina della Milano post Expo ci sono lavoratori a cottimo, precari della logistica, piccole partite Iva che faticano ad arrivare a 1200 euro al mese. Sono queste le persone dietro la Milano della retorica del cambiamento, quelli che oggi pagano di più la crisi. Se il sindaco Sala vuole tornare indietro, al 21 febbraio, pensando che la causa dei problemi sia lo smart working, commette un errore". Massimo Bonini, 43 anni, sindacalista della Cgil e segretario generale della Camera del lavoro di Milano, intervistato da Fanpage.it interviene nel dibattito sul futuro del lavoro nel capoluogo lombardo. La "locomotiva" d'Italia che di colpo si è scoperta fragile per colpa della pandemia, che ne ha messo a nudo le debolezze.

Cosa pensa delle parole del sindaco che ha invitato a "tornare al lavoro"?

L'emergenza straordinaria che abbiamo vissuto durante la pandemia deve spingerci ad accelerare sul cambiamento dei modelli sociali, economici e organizzativi. Per questo quella di Sala mi è sembrata una presa di posizione con lo sguardo rivolto indietro. Se il modello di sviluppo è tornare a riempire bar e ristoranti, è una strategia che ha il fiato corto.

Il coronavirus ha cambiato tutto. Perché Milano si è scoperta fragile?

Quanto messo in campo dopo Expo è stato sicuramente utile, nessuno lo vuole rinnegare, ma si è sbriciolato di fronte all'emergenza sanitaria. Quindi creare una città turistica è stato importante, ma non basta. Cambiare modelli vuol dire non tornare indietro a prima del coronavirus. Certo che dobbiamo recuperare terreno sul turismo, magari però diversificando lo sviluppo della città, guardando maggiormente al ritorno della manifattura in termini più moderni e innovativi, all'innovazione tecnologica, a nuovi modelli mobilità, allo sviluppo sostenibile.

Sono concetti su cui si discute da tempo a Milano, le proposte non sono mancate

Però bisogna intendersi su cosa si intende. Prima della pandemia c'era un forte dibattito sullo sviluppo sostenibile. Un modello non è sostenibile solo dal punto di vista ambientale, ma anche da quello del lavoro e della sua qualità. Con modelli di sviluppo basati sulla precarietà, sulla frammentazione del lavoro, sulla proliferazione di appalti e subappalti che non rispettano le regole, noi stiamo ripensando esattamente a quello che c'era prima. La sostenibilità ambientale va vista a 360 gradi, non solo nel piccolo di Milano.

Sala sottolinea che il telelavoro mette in crisi i ristoranti e le altre attività rivolte ai lavoratori pendolari e ai city user

Io lancio una provocazione ai ristoratori: ripensate il modello, andate voi dai clienti, non state solo ad aspettare che arrivino. Oggi la gente ha più paura, bisogna ripensare l'organizzazione. Non vuol dire mettere il robot che serve la pasta al ristorante, ma fare un'altra cosa, investire per esempio in quei giovani ristoratori che hanno creato le cucine per fare solo delivery. Queste sono le innovazioni da incentivare, non il fatto che le imprese chiedano soldi per riaprire esattamente come prima.

C'è anche chi ha evidenziato i limiti del lavoro da casa, il rischio di un aumento dello stress e del senso di isolamento

Noi abbiamo scelto di stare su un ragionamento mediano. Lo smart working ha elementi positivi e negativi. Quelli negativi si determinano perché azienda ti fa lavorare da casa, come farebbe anche sul luogo di lavoro, oltre le 8 ore, con i telefoni sempre accesi, l'obbligo di rispondere alle e-mail a qualsiasi ora. Questo perché manca una regolamentazione. Se ci fosse, i "contro" verrebbero eliminati. Certo che va garantito un lavoro fatto con dignità e in sicurezza, nelle giuste condizioni ambientali. Un conto è l'home working visto in queste settimane, altra cosa è lo smart working come dovrebbe essere fatto. Serve il giusto equilibrio, bisogna lavorarci.

Resta il fatto che l'occupazione a Milano è in crollo verticale. Siete preoccupati?

Certo, abbiamo calcolato potenzialmente fino a 300mila disoccupati nell'area metropolitana di Milano su una forza lavoro di 1,7 milioni di persone. La perdita di posti riguarda in gran parte turismo, ristorazione, commercio: una grossa fetta di ciò su cui si è basata Milano post Expo. Ma la disoccupazione non è dettata dallo smart working, quanto da 10 milioni di turisti in meno. Per questo torno a dire che il modello va ripensato. Partiamo sostenendo le imprese che fanno investimenti e innovazione.

La ricetta è investimenti, nuova visione e cambiamento di modello?

Le aziende che si difendono sono quelle che investono nell'organizzazione. Come si fa a dire che lo smart working riduce l'occupazione? Forse nei pubblici esercizi, indirettamente, ma questo riguarda le attività che non sono disposte a ripensare i modelli. È chiaro che anche noi siamo preoccupati per la disoccupazione, ma vorrei che la politica smettesse di dire che viene fraintesa. Le parole di Sala le abbiamo sentite tutti.

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