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Lo yacht carico di hashish e il box segreto. Storia della banda con una tonnellata di fumo

Il carico in mare aperto davanti alle coste del Marocco, il viaggio in barca a vela verso l’Italia, il trasporto su un gommone rimorchiato. Nell’ordinanza che ha portato all’arresto di sei persone per traffico internazionale di droga sono ricostruiti tutti gli spostamenti del carico del valore di 11 milioni di euro.
A cura di Salvatore Garzillo
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La droga murata in via Padova a Milano
La droga murata in via Padova a Milano

Questa storia inizia il 24 settembre 2018 davanti al muro di un box al civico 345 di via Padova. Dopo una serie di martellate ben assestate, gli agenti della Squadra mobile scoprono un doppio fondo che nasconde 1.100 chili di hashish. Un muro di droga alto due metri e largo altrettanti, con i mattoni composti da 69 panetti perfettamente sigillati. Valore sul mercato, 11 milioni di euro. Quel giorno arrestano il magazziniere, il 42enne Fabio Papa, con precedenti risalenti al 1992 e 1995. Oltre all’hashish c’è anche un grosso radar per imbarcazioni, una conferma ai sospetti degli investigatori, convinti che il trasporto avvenga a bordo di un’imbarcazione privata. L’operazione prende il nome di “The Wall”.

Il rifornimento per le piazze del Nord

Sembrava fosse finita lì, con un grosso successo in termini di sequestro e una importante copertura mediatica. Invece “The Wall” è terminata davvero solo oggi, con l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 6 italiani accusati di associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale. In manette la squadra che, a vario titolo, ha pianificato e realizzato il trasporto di oltre una tonnellata di hashish destinata alle piazze di tutto il Nord Italia. Nel provvedimento firmato dal giudice per le indagini preliminari Raffaella Mascarino è disposto il carcere per Marco Bruno Bernini, di 53 anni, Antonino Cannata, di 42, Silvestro Giannini, di 49, Francesco Massimiliano Cauchi, di 46; mentre gli arresti domiciliari per la 41enne Melissa Mirabella, e l’obbligo di dimora a Garlasco, in provincia di Pavia, per il 50enne Antonino Capone.

Lo yacht della droga

Nella breve ordinanza è ricostruito il viaggio del carico di droga importata dal gruppo attraverso lo yacht di 20 metri “Elizabeth G.”. Ruota tutto attorno a lei, a partire dalle soffiate. La notizia di un carico a bordo non arriva solo agli investigatori della Squadra mobile di Milano ma anche ai carabinieri del Nucleo investigativo di Savona che così il 12 luglio installano un gps mentre è ferma nel porto di Varazze. Poco dopo la barca, manovrata da Giannini, punta verso la Francia, fa rifornimento e il 30 luglio approda nel porto di Almerimar, nel sud della Spagna. La notte stessa la “Elizabeth G.” riparte verso le coste del Marocco e in mare aperto, tra le 4.50 e le 5.50, si accosta a un gommone. Lì avviene il trasbordo. Prima dell’alba è già in viaggio verso l’Italia, la mattina del 5 agosto è in Liguria.

I carabinieri monitorano tutti gli spostamenti, la seguono sulla mappa fino a quando, invece di rientrare a Varazze, torna in mare aperto. Qui il segnale cade perché il dispositivo gps spia usa il sistema Gsm che funziona molto bene sotto costa ma che si disattiva quando non c’è copertura di rete. Come avviene in mare aperto. Ricompare sul radar alle 7.40 del giorno dopo, alle 10.05 un gommone di 7 metri la affianca e due uomini scaricano la droga (questa circostanza è nota solo ora, all’epoca non si aveva la certezza dell’operazione). A quel punto interviene la Guardia Costiera su segnalazione dei carabinieri ma non c’è nulla da fare, il gommone riesce a seminarla sparendo all’orizzonte in direzione di Rapallo. Lo yacht, invece, è scortato nella baia di Paraggi, dove viene perquisito da cima a fondo. Nonostante il cane antidroga impazzisca per l’odore dell’hashish, a bordo non c’è nulla.

Giannini se la cava così, esce dalla caserma e la sera incontra a Santa Margherita Ligure il complice Cauchi, che gli dà i soldi per fare rifornimento alla barca. Intanto, le telecamere del porto di Rapallo registrano la presenza nella zona di alaggio di Antonino Capone, alla guida di una jeep con rimorchio per imbarcazioni intestata a Melissa Mirabella (controllata in compagnia di Cauchi il 29 maggio 2018 a Fino Mornasco). I panetti hanno finito il viaggio su gomma. Passano i giorni, il gruppo sa che sta per succedere qualcosa e infatti il 18 settembre si spegne la luce per Bernini e Cauchi, arrestati dalla Dda di Bologna in un’altra grossa indagine sul traffico di droga relativa a fatti avvenuti tra il febbraio 2012 e il settembre 2014.

Il muro abbattuto a martellate

L’altra svolta arriva poco dopo. Gli uomini della Narcotici, diretti da Domenico Balsamo, ricevono una nuova indicazione su un’autorimessa in via Padova 345. Seguono Papa per qualche giorno, lo vedono chiacchierare con Cannata e Giannini, li bloccano in due momenti separati. I due hanno 8mila euro, Giannini dice che gli servono per la manutenzione della barca. Papa ha in tasca 6.500 euro e il mazzo di chiavi che apre il box: dentro ci sono borsoni con circa 200 chili di hashish, una grande quantità ma comunque poca rispetto alla soffiata. Uno dei poliziotti inizia a picchiare contro le pareti, finché si accorge che quella sul fondo ha una strana risonanza. Nel dubbio lo abbattono a martellate e scoprono il resto del tesoretto di hashish più 500 grammi di cocaina. Tutto di ottima qualità, la coca ha un principio attivo tra il 79 e l’83 per cento, l’hashish tra il 19 e il 35 per cento. Generalmente il principio del "fumo" è al 10.

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