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Le figlie di Pinelli: “Montanelli disse menzogne su nostro padre, poi dovette chiedere scusa”

Mentre infuriano a Milano le polemiche e il dibattito sulla figura di Indro Montanelli, dopo l’imbrattamento della statua a lui dedicata, un altro tassello per ricordare chi era il giornalista arriva dalle figlie di Giuseppe Pinelli, l’anarchico morto tragicamente precipitando da una finestra della questura di Milano pochi giorni dopo la strage di piazza Fontana. “Scrisse che Pinelli era un informatore della polizia e che si sarebbe suicidato – scrive Claudia Pinelli -. Erano tutte menzogne, in tribunale dovette più volte chiedere scusa”. L’altra figlia, Silvia, a Fanpage.it parla della “lettera a Camilla” Cederna scritta nel 1972 da Montanelli: “È una cosa allucinante, anche come tipo di accuse”. Sulla statua: “Va trovata un’altra collocazione”.
A cura di Francesco Loiacono
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In questi giorni in cui infuria il dibattito attorno alla figura di Indro Montanelli, dopo l'imbrattamento della statua nei giardini di Milano a lui intitolati e la richiesta di rimozione del monumento, un altro tassello per ricordare chi fu il giornalista arriva dalle figlie di Giuseppe Pinelli, l'anarchico morto tragicamente in circostanze mai chiarite la notte tra il 15 e il 16 dicembre del 1969 precipitando da una finestra della questura di Milano, dove era stato portato con altri anarchici a seguito dell'attentato di piazza Fontana.

Le accuse infondate a Pinelli

Sono due, in particolare, i ricordi di Montanelli che le figlie di Pinelli hanno voluto condividere pubblicamente in questi giorni sui loro profili Facebook. Il primo riguarda le menzogne che il "grande giornalista", come lo definisce ironicamente Claudia Pinelli, scrisse riguardo al padre sul "Giornale". "Il 24 ottobre 1980 Montanelli scrisse di aver saputo, undici anni prima, cioè subito dopo la strage di Piazza Fontana, che Giuseppe Pinelli fosse un informatore della polizia e avesse confidato al commissario Calabresi che gli anarchici stavano preparando ‘qualcosa di grosso' – spiega Claudia Pinelli -. Quando avvenne la strage non resistendo all’idea che i suoi compagni lo qualificassero come delatore, si sarebbe suicidato gettandosi dalla finestra… Inutile dire che erano tutte menzogne".

Quando poco dopo, durante il processo d'appello per la strage di Piazza Fontana che si tenne a Catanzaro, il giornalista venne chiamato a rispondere delle sue affermazioni in tribunale "Montanelli dovette più volte chiedere scusa, ammettere di essersi sbagliato, di aver capito male, di non essersi espresso bene, di essersi inventato di sana pianta particolari rilevanti", scrive Claudia Pinelli. La figlia maggiore del ferroviere ricorda anche che, costretto a rimangiarsi tutto davanti al giudice, iniziò a sfaldarsi il "mito" di Montanelli anche nel procuratore generale, che disse: "E io che fin da ragazzo l'ho sempre considerata una specie di mito, oggi questo mito è crollato".

La lettera a Camilla Cederna del 21 marzo 1972

L'altra figlia di Pinelli, Silvia, ha aggiunto un altro tassello al ricordo di Montanelli, pubblicando la "Lettera a Camilla" che il giornalista scrisse alla collega Camilla Cederna (una delle prime a indagare sulla morte di Pinelli, autrice del famoso libro "Pinelli: una finestra sulla strage") sul "Corriere della sera" il 21 marzo del 1972, pochi giorni dopo la morte di Giangiacomo Feltrinelli. "La ricordavo vagamente – spiega a Fanpage.it Silvia Pinelli – ma l'ho recuperata grazie a un libro di Corrado Stajano, ‘La città degli untori'. È una cosa allucinante, anche come tipo di accuse che rivolge alla Cederna".

Nella "lettera a Camilla" Montanelli prima sembra "rimproverare" alla collega di essersi interessata tardi alla "cronaca" fatta di bombe e attentati, dopo anni passati come "testimone furtiva o relatrice discreta di trame e tresche salottiere, arbitra di mode, maestra di sfumature, fustigatrice di vizi armata di cipria e piumino". Poi Montanelli usa un tono e un linguaggio sessisti: "Che dopo aver tanto frequentato il mondo delle contesse, tu abbia optato per quello degli anarchici, o meglio abbia cercato di miscelarli, facendo anche del povero Pinelli un personaggio della cafè society, non mi stupisce: gli anarchici perlomeno odorano d'uomo anche se forse un po' troppo. Sul tuo perbenismo di signorina di buona famiglia, il loro afrore, il loro linguaggio, le loro maniere, devono sortire effetti afrodisiaci".

Silvia Pinelli: La statua di Montanelli va rimossa

Anche per via di ciò che hanno vissuto sulla propria pelle, il giudizio delle figlie di Pinelli sulla figura di Montanelli è "estremamente negativo". E rispetto al dibattito in corso sulla statua Silvia Pinelli aggiunge: "Va rimossa, può tranquillamente trovare un'altra collocazione. Magari se si farà il Museo della Resistenza può andare lì, per ricordare coloro che hanno combattuto per la Resistenza e quelli, come lui, che hanno sempre combattuto contro. Più che altro mi sorprende che non ci fu una discussione simile quando, nel 2006, venne collocata la statua". Per Silvia Pinelli Montanelli "era fascista d'origine, e lo è sempre stato". La figlia minore sposa in toto la definizione di Stajano su Montanelli: "Forcaiolo anarcoide, reazionario travestito da vecchio saggio".

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