Questa mattina, a Pioltello, un treno diretto a Milano Porta Garibaldi è deragliato: tre persone sono morte, cinque sono ferite gravemente e un altro centinaio sono rimaste coinvolte. Senso di umanità e turbamento consiglierebbero il silenzio, ma spesso è di fronte a tragedie, incidenti ed emergenze che, per emotività o calcolo elettorale, emerge l’interesse politico su un tema. Ecco allora che, con il rischio di apparire insensibile ricorrendo in queste ore a numeri e statistiche, riflettere sul trasporto ferroviario è necessario.
Nel 2016, secondo l’ultimo rapporto Istat sul tema, ci sono stati 175.791 incidenti stradali che hanno coinvolto automobilisti, motociclisti, ciclisti e pedoni, provocando 3.283 morti e 249.175 feriti. Nello stesso anno, secondo i dati dell’Ansf, l’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, ci sono stati 99 incidenti ferroviari, con un totale di 127 vittime (più dell’85% per “indebita presenza” di pedoni sui binari, cioè tragedie dovute ad attraversamenti, cadute accidentali o suicidi).
Ma se il treno è così sicuro rispetto ad altri mezzi di trasporto, perché ci scuote tanto un incidente ferroviario come quello avvenuto a Pioltello?
Il treno, innanzitutto, è prevedibile. Il suo scorrere su rotaie, con orari predefiniti (anche se non sempre rispettati), con destinazioni chiare, con un macchinista esperto che guida, è a suo modo tranquillizzante e pone, più della fluidità del trasporto su gomma, di fronte ai paradossi delle coincidenze: quante volte un treno è partito lasciando a terra passeggeri in ritardo e quanta soddisfazione si ritrova invece nel fiatone del pendolare che, correndo, riesce a salire appena un attimo prima che si chiudano le porte. Di fronte agli incidenti ferroviari, la differenza tra la vita e la morte è tutta qui, nelle coincidenze.
Riecheggia, nel conto delle vittime e nel sollievo dei superstiti, la poesia ‘Ogni caso‘ di Wislawa Szymborska: “Poteva accadere./ Doveva accadere/ […] La rete aveva un solo buco, e tu proprio da lì?”. E anche se la sicurezza è massima, e razionalmente si preferisce il trasporto ferroviario ad altri mezzi più aleatori e inquinanti, arriva comunque quella che Aldo Capitini definiva la protesta contro il passo della morte, la consapevolezza della propria finitezza umana, del limite contro cui ci si rivolta e ci si dibatte.
Ma non si può spiegare tutto con la protesta filosofica contro la morte. Il citato rapporto sulla sicurezza ferroviaria Ansf, ad esempio, oltre alle cifre relative a incidenti e vittime, cita le “principali carenze rilevate sulle attività svolte” dal gestore dell’infrastruttura ferroviaria Rfi.
− Manutenzione: manca una chiara definizione ed attuazione del concetto di manutenzione sicura […] manca una chiara definizione del contributo fornito da parte della diagnostica al funzionamento sicuro; […]
− Gestione del rischio idrogeologico: manca una chiara definizione dei criteri adottati per individuare tutti i punti sensibili rispetto al rischio idrogeologico e per stabilire le conseguenti misure di mitigazione da attuarsi per l’esercizio ferroviario, sulla base di una specifica analisi dei rischi. Le iniziative previste dalla attivazione della “Vigilanza Straordinaria in caso di avverse condizioni meteorologiche” non sempre risultano efficaci […]
− Controllo interno: la documentazione tecnica non sempre è disponibile presso gli impianti, aggiornata o correttamente utilizzata; la documentazione di sicurezza non sempre è aggiornata e gestita in coerenza con le procedure in vigore; malfunzionamenti delle apparecchiature di registrazione cronologica degli eventi nelle postazioni di gestione della circolazione; inoltre non sempre l’attività di controllo interno risulta efficace nell’evidenziare le carenze gestionali, operative e manutentive presenti;
− Gestione della circolazione: si rilevano registrazioni incomplete e non corrette, comprese quelle relative ai rapporti fra gli operatori della circolazione e quelli della manutenzione; […]
Inoltre, la rete ferroviaria gestita da Rfi è ancora per gran parte composta di linee a semplice binario (9.091 km contro i 7,696 km a doppio binario), con tutto quel che questo comporta in termini di sicurezza dei trasporti.
Alle condizioni della rete ferroviaria devono poi aggiungersi le scelte economiche in materia di trasporto ferroviario. Di fronte ai tagli generalizzati, spicca la bizzarra scelta di priorità da parte dei diversi governi che si sono succeduti nell’ultimo decennio: per il trasporto pubblico locale i finanziamenti sono diminuiti dal 2009 del 22,7% a fronte di un aumento dell’8,5% dei passeggeri, come riporta il rapporto Pendolaria 2017 di Legambiente. Eppure per l’alta velocità sono stati investiti 32 miliardi di euro negli ultimi undici anni, secondo quanto riportato da Altreconomia che cita una ricerca del Politecnico di Milano sul rapporto (non particolarmente soddisfacente) tra costi e benefici sociali dell’alta velocità.
E se i pendolari delle tratte suburbane si lamentano delle cattive condizioni di viaggio, che si sommano ai periodici aumenti di prezzo degli abbonamenti, la giustificazione di fondi carenti non può bastare, specie dopo la condanna dell’ex presidente delle Ferrovie Nord Norberto Achille per peculato e truffa.
E mentre la tragedia di Pioltello è ancora in atto, i politici più spregiudicati già banchettano sopra tagli e mancati investimenti (anche quando certe scelte illogiche dipendono dalla loro parte politica). Ma se i candidati in campagna elettorale dovrebbero avere il pudore di tacere, a parlare dovrebbero essere giornalisti, pendolari e semplici cittadini: quante carenze di mezzi e infrastrutture possono trasformarsi in tragedia se ancora ignorate? Nell’epoca delle politiche emergenziali e delle decantate grandi opere è necessario pretendere il potenziamento e la manutenzione di un trasporto ferroviario che non debba più scusarsi per il disagio o, peggio ancora, per il drammatico “inconveniente tecnico”.