
Ben prima dei fatti di Goro e Gorino, a Milano altri cittadini di un quartiere – Adriano, nord est del capoluogo – decidevano di armarsi di taniche di benzina e petardi e di andare a incendiare un edificio occupato da senzatetto e sbandati.
Quanto oggetto di indagine da parte della polizia, che ha denunciato dieci persone – nove italiani e un sudamericano, quasi tutti incensurati – per incendio doloso e detenzione di materiale esplodente, è un pericoloso campanello d'allarme, spia di una tendenza alla giustizia "fai da te" da parte dei cittadini. Bollarla come l'azione di un gruppo di esaltati è troppo semplicistico e fuorviante. Giustificarla è naturalmente impensabile se si vuole difendere i principi e i risultati di uno Stato di diritto.
Ma viene da chiedersi se davvero la politica si renda conto della pericolosità del gesto, nato con un “passaparola” come hanno sottolineato gli inquirenti, e figlio dell'esasperazione. Certo, su temi quali la sicurezza la percezione è altrettanto importante della realtà. E una certa politica che soffia sul fuoco dell'insicurezza può avere avuto un peso nel dipingere una situazione più grave di quella reale, che ha poi portato un gruppo di cittadini quasi del tutto sconosciuti gli uni agli altri a improvvisarsi “giustizieri della notte” (o meglio del pomeriggio, visto che l'incendio avvenne alle 17.30 di domenica 4 settembre).
Ma è d'altra parte innegabile che un palazzo (privato) abbandonato da anni, teatro di uno stupro lo scorso agosto e costantemente sotto gli occhi dei residenti col suo via via di disperati non possa che aver minato, giorno dopo giorno come un lento stillicidio, la fiducia della gente nella capacità delle istituzioni cittadine di risolvere i problemi.
Il botta e risposta tra le forze politiche non risolve i problemi
Cosa dice la politica sull'argomento? Da una parte la consigliera comunale Silvia Sardone denuncia: “Gli sgomberi sono stati pochissimi, mai continui e costanti. Il Comune non ha predisposto azioni per tentare di arginare l'occupazione pur potendo esercitare i poteri sostitutivi per la messa in sicurezza, non ha sollecitato interventi continui e non quelli spot ogni due mesi che non servono a nulla. Allo stesso tempo nulla ha fatto per attuare un esproprio per pubblica utilità, consentito dall'articolo 12 del regolamento edilizio”.
Dall'altra parte l'assessore alla Sicurezza Carmela Rozza già dopo l'incendio affermava: "Il controllo dello stabile è continuo e gli sgomberi periodici. La Polizia locale vigila su quel palazzo come su molti altri abbandonati in città". E, sempre sul fronte del Comune, bisogna anche ricordare che ci sono milioni di euro annunciati per un piano complessivo di riqualificazione del quartiere Adriano (inclusi il "palazzo del degrado" all'angolo tra via Adriano e via Mulas e la scuola al civico 60 di via Adriano).
Intanto, però, in questo eterno ping-pong di dichiarazioni quei "buchi neri" nella città – come il delegato del sindaco alle periferie Mirko Mazzali ha definito i palazzi abbandonati – restano, resistono, continuano a riempire con i loro calcinacci e con la disperazione che purtroppo attirano i milanesi. Che adesso non ammazzano più al sabato, per dirla con Scerbanenco, ma incendiano alla domenica.