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Ex conduttore tv Alessandro Cozzi, “non provata” la premeditazione per l’omicidio del socio

Non è provato “oltre ogni ragionevole dubbio” che l’ex conduttore tv Alessandro Cozzi abbia premeditato l’omicidio dell’imprenditore e socio Alfredo Cappelletti nel 1998. È quanto scrivono i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Milano nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso febbraio, hanno ridotto la pena all’imputato (dall’ergastolo a 24 anni di carcere) per il ‘cold case’ riaperto nel 2016.
A cura di Simone Gorla
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Non è provato "oltre ogni ragionevole dubbio" che l‘ex conduttore tv Alessandro Cozzi abbia premeditato l'omicidio dell'imprenditore Alfredo Cappelletti, ucciso in via Malpighi, a Milano, nel 1998. Per questo i giudici della Corte d'Assise d'Appello di Milano lo scorso febbraio hanno ridotto la pena all'imputato cancellando l'aggravante delle premeditazione. È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza con cui la pena è stata ridotta dall'ergastolo a 24 anni di carcere.

L'omicidio Cappelletti: un cold case riaperto nel 2016

Il delitto Cappelletti è un ‘cold case' che risale al settembre del 1998. Il corpo senza vita dell'imprenditore fu trovato nel suo ufficio con la lama di un coltello conficcata nel petto. Le indagini per anni hanno ipotizzato che si fosse trattato di un suicidio: per questo il caso era stato archiviato per due volte come suicidio, tra le proteste della famiglia della vittima. Nel 2016 la svolta, con l'imputazione coatta da parte del giudice per le indagini preliminari Franco Cantù Rajnoldi. Cozzi è stato così processato per omicidio volontario con l'aggravante della premeditazione. La tesi dell'accusa era sostenuta dalla circostanza che il coltello usato per l'assassinio fosse stato comprato pochi giorni prima del delitto e dal fatto che lo stesso ex conduttore tv avesse cercato di orientare le investigazioni verso la pista del suicidio.

Cozzi condannato all'ergastolo in primo grado

Nel luglio 2017 Cozzi era stato quindi condannato in primo grado all'ergastolo. La Corte d'Assise aveva riconosciuto l'aggravanti della premeditazione. Per i giudici d'appello, invece, non ci sono elementi per accertare "in quale momento sia insorta" nell'imputato "la determinazione criminosa". Anche i "comportamenti tenuti dopo il fatto" da parte del conduttore, che lavorava per Rai Educational, per i giudici "non appaiono preventivati e compiuti secondo un preciso e ben ponderato programma".

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