Conviene ripartire dai fatti per raccontare quanto a Milano si consumi più un'operetta emozionale piuttosto che uno scenario politico e un onesto approccio alle contestazioni giudiziarie. Da una parte si risvegliano gli istinti addirittura giustificatori (qui siamo oltre al garantismo) di chi banalizzando (da populista, appunto) vorrebbe raccontare la favoletta di un Beppe Sala avvinghiato dai tentacoli della burocrazia che ha semplicemente "forzato la mano" per il bene di Expo e del Paese (il reato di responsabilità, insomma) mentre lui, Beppe Sala, si inventa un'autosospensione (che non esiste), si reca in Prefettura (e ovviamente, non esistendo l'autosospensione, la Prefettura non la formalizza) e invoca un'impossibilità di poter esercitare i suoi compiti istituzionali che, anche questa, non esiste.
Ma la scenetta funziona: "la Procura faccia in fretta" dicono in molti, poi lettere di solidarietà pelosa da tutte le parti e così lo scontro politica-giustizia trova un nuovo format dopo le scadenti sceneggiature passate.
Le accuse contestate a Sala
Le accuse, innanzitutto. Si tratta solo di una firma retrodatata? Per niente. Secondo la Procura di Milano (in particolare secondo il procuratore generale Isnardi che aveva chiesto una proroga di sei mesi per completare le indagini dopo aver avocato a sé un'inchiesta che qualcuno voleva archiviare in fretta e furia) "ci sono state numerose anomalie e irregolarità amministrative" nella scelta del contraente del famoso appalto per la piastra Expo (ovvero la Mantovani spa) che vinse la gara con un ribasso "non idoneo neppure a coprire i costi", scrive la Procura. Per finire i lavori in tempo, si legge nelle carte, si optò per "una deregulation dettata dall'emergenza" e alla Mantovani "“fu consentito di entrare in una anomala trattativa al rialzo con il committente, ponendo come contropartita la cessazione dei lavori, la cancellazione dell’evento e la credibilità del Paese“. In tutto questo conviene ricordare che la Mantovani, proprio lei, fu la stessa che ottenne successivamente (dicono le carte) un improprio affidamento diretto per la fornitura di 6 mila alberi (la Mantovani è una ditta di costruzioni, eh) “per un importo di 4,3 milioni di euro a fronte di un costo per l’impresa di 1,6 milioni”. E poi c'è la famosa "questione della firma retrodatata" (quella che fa comodo a molti per ridurre il tutto a una bazzecola) di due verbali che, scrive la Procura, riportano "circostanze non attinenti alla realtà" con “l’intento di evitare di dover annullare la procedura fin lì svolta.” È solo una firma retrodatata? No, per niente.
Qualcosa non torna
Smontata l'ipotesi del reato a fin di bene rimane una domanda: ma perché Sala, improvvisamente così "responsabile", ora vorrebbe lasciare intendere che un'indagine (di cui tra l'altro si sa da tempo) sia un elemento ostativo alle sue funzioni? E qualcosa non torna, no: era lo stesso Sala, ai tempi da candidato sindaco, che faceva spallucce quando gli si faceva notare che Expo avrebbe potuto avere inevitabili strascichi giudiziari. Cosa è cambiato? Semplice: da sindaco, Sala, sa bene che una fantomatica autosospensione è il modo migliore per cavalcare l'onda anti giudici capovolgendo il campo e mettendo la Procura nella scomoda parte del"accusato per avere osato interrompere il buon governo della città. È corretto? È etico? Ognuno può darsi la risposta. Certo c'entra poco con la politica.
E poi c'è la Procura di Milano. Quella stessa Procura che decide prima di archiviare e poi cambia idea. Quella stessa Procura che Robledo (rimosso al tempo proprio dalle indagini su Expo) giudica senza appello quando dichiara: "È mia opinione che nel 2014 alla Procura di Milano ci sia stato un abbraccio mortale tra magistratura e politica. Il corto circuito è stato fatto scattare da questi rapporti, con il risultato, a mio avviso, di far perdere ai magistrati la loro autonomia e il loro ruolo di controllo, stabilito dalla Costituzione". Quella stessa Procura su cui pende da mesi il sospetto di essere complice di una "moratoria" su Expo che rallentò (se non addirittura sospese) le indagini in nome della bella figura internazionale dell'Italia. Del resto fu lo stesso Renzi che ringraziò allora Procuratore Bruti Liberati per "il senso di responsabilità istituzionale" verso Expo. E cos'era, quel senso di responsabilità? Viene da chiederselo, davvero.