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Opinioni

Che cosa non torna sul costo di recupero per le periferie di Ofo e Mobike a Milano

Gli utenti milanesi dei due colossi del bike sharing a flusso libero, Mobike e Ofo, dovranno pagare una penale di 7 euro se parcheggiano la bici fuori dalla circonvallazione: il sovrapprezzo sembra mostrare ancora una volta le divergenze tra l’interesse sociale e pubblico e le soluzioni proposte da imprese private. E, a guardare fatturato e investitori delle due aziende, sorge il dubbio che la mobilità sostenibile non sia l’unico business.
A cura di Roberta Covelli
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Una bicicletta Ofo danneggiata nel centro di Milano: i vandalismi avvengono ovunque (LaPresse)
Una bicicletta Ofo danneggiata nel centro di Milano: i vandalismi avvengono ovunque (LaPresse)

A un anno dal lancio del bike sharing a flusso libero nel Comune di Milano, le piattaforme che gestiscono il servizio, Mobike e Ofo, impongono un sovrapprezzo sulle periferie. Fino a qualche settimana fa il servizio era uniforme su tutto il territorio comunale, escluse le strade ad alto scorrimento. Il noleggio si basa su un’app: l’utente la installa sullo smartphone, individua le biciclette libere sulla mappa, prenota la bici, la raggiunge e fotografa il QR code sul telaio. L’app registra l’attivazione, il lucchetto si sblocca e si può iniziare a pedalare, pagando tramite la carta di credito (o di debito, o prepagata) collegata all’account la tariffa corrispondente: 60 centesimi ogni venti minuti per le bici gialle di Ofo, 69 centesimi ogni mezz'ora per Mobike. Alla fine della corsa, si può parcheggiare la bicicletta ovunque, purché non sia di intralcio al traffico e si tratti di un luogo pubblico, così da permettere l’uso ad altri iscritti.

Il progetto per il bike sharing in free floating è attivo a Milano grazie a un bando comunale del giugno 2017 per promuovere la mobilità sostenibile e ridurre le emissioni di agenti inquinanti: nel progetto milanese, si intendeva incentivare questo tipo di mezzo di trasporto attraverso la presenza di un massimo di 12.000 biciclette liberamente parcheggiabili sul territorio comunale. Mobike ha ottenuto il permesso per due lotti, con un totale di circa 8.000 biciclette, mentre Ofo se ne era aggiudicate 4.000: secondo gli accordi, le due piattaforme pagano al Comune 30 euro all’anno per ogni veicolo (salvo per quelli a pedalata assistita, per cui non è richiesto alcun versamento al Comune, che sperava così di incentivarne l’utilizzo).

Il bike sharing a Milano esisteva già e tuttora convive con Mobike e Ofo: si tratta di BikeMi, che però obbliga i ciclisti a lasciare le biciclette in punti predeterminati, a stalli fissi. Nel periodo di lancio del nuovo servizio a flusso libero, l’assessore Granelli precisava al Fatto Quotidiano che non si prevedevano contraccolpi negativi sul noleggio bici già attivo: "Sono due servizi diversi, con lo stallo fisso l’utente sa dove trovare la bicicletta ma è vincolato a riportarla in un luogo, invece gli stalli liberi sono molto utilizzati soprattutto in periferia".

Eppure ora le due piattaforme di bike sharing sembrano penalizzare proprio le periferie: Mobike, da inizio giugno, e Ofo, dalla scorsa settimana, hanno infatti definito diverse aree di utilizzo e di tariffa. All’interno della circonvallazione, quindi nel centro di Milano, il servizio resta libero. Se però si pedala fino alla periferia (nemmeno troppo profonda), al costo per la corsa si deve aggiungere una penale di 7 euro, a prescindere da pass o abbonamenti. C’è chi suppone che la modifica derivi dagli atti di vandalismo registrati in quest’anno di servizio, ma le due piattaforme si sono limitate a segnalare i cambiamenti sottolineando che è nel centro di Milano che si registra il maggior numero di corse e c’è quindi maggior necessità di biciclette: la penale rappresenterebbe quindi un semplice costo di recupero.

Nell’avviso pubblico per la sperimentazione del servizio, però, il Comune di Milano specificava, tra gli standard richiesti (punto 5, lettera g), che il servizio sarebbe dovuto "essere al minimo attivo all’interno dell’estensione stradale situata all’interno dell’area del centro abitato del Comune di Milano, definita secondo la planimetria riportata nell’allegato 1″, che indica chiaramente l’inclusione delle periferie.

La situazione delle periferie peraltro è di particolare interesse per il capoluogo lombardo: secondo il rapporto Istat 2018, tra le città italiane, Milano è quella con il maggior divario nell'indice di vulnerabilità sociale. L’istituto di statistica ha infatti provato a delineare la trama delle diseguaglianze urbane utilizzando due misure di rilevazione socio-economica: l’indice di vulnerabilità sociale e materiale e l’indicatore del valore immobiliare, sovrapponendo poi a questi dati il tracciato delle linee metropolitane. La mappa, basata su dati del 2011 (quando ancora la linea 5 lilla non era attiva, né si era vista all'opera la giunta Pisapia), evidenzia come le zone del centro abbiano un valore immobiliare alto e un indice di vulnerabilità sociale basso, e viceversa.

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Il bike sharing, soprattutto quello a flusso libero che non prevede la necessità di stalli fissi, mirava probabilmente anche a far fronte alle esigenze di mobilità delle periferie. E in questo primo anno di sperimentazione, l’incentivo ambientale per la mobilità sostenibile non è stato l’unico sviluppo sociale del progetto: se gli atti di vandalismo hanno provocato sdegno e impegnato la cronaca, meno risonanza è stata data alle moltissime iscrizioni al servizio in quartieri considerati ghetto, come ad esempio Quarto Oggiaro, così come all’impegno spontaneo di gruppi civici come i canottieri San Cristoforo, che hanno ripescato e restituito le biciclette di Mobike a mollo nel Naviglio, o come i ragazzi dell'associazione Area 51, alla periferia di Milano, ex detenuti per piccoli reati che si occupano della manutenzione delle biciclette di Ofo.

Quali saranno gli effetti delle nuove politiche aziendali di Ofo e Mobike sulle periferie? Non è ancora chiaro, anche se le pagine social delle due piattaforme ospitano già i commenti di utenti che si dichiarano intenzionati a disinstallare l'app. La notizia mostra però, qualora ce ne fosse bisogno, la differenza tra la volontà di un attore pubblico, come il Comune, e l'interesse di imprese private come Mobike e Ofo. Se infatti l'amministrazione pubblica intendeva incentivare l'utilizzo della bicicletta e promuovere la cultura della mobilità sostenibile, le due piattaforme collaborano certo al raggiungimento di questi obiettivi, ma avendo ben presente il proprio profitto. E se il recupero dei veicoli in periferia pare alle due aziende troppo dispendioso rispetto agli introiti, il costo ricade sugli utenti finali: ma davvero i profitti delle due piattaforme provengono soltanto dalle corse urbane su due ruote? Per iscriversi al servizio e noleggiare una bici, gli utenti devono scaricare l'app, accettando le condizioni e i termini d'uso che rimandano all'informativa sulla privacy che, come spesso accade, prevede l'autorizzazione ad accedere a informazioni come l'indirizzo IP dell'utente, le sue informazioni di navigazione, come la cronologia, oltre ovviamente alla geolocalizzazione. Moltiplicando queste informazioni per i milioni di veicoli in condivisione in giro per il mondo, da Pechino a Sidney, da Milano a Shanghai, le imprese di bike sharing, come molte altre di economia condivisa, si trovano ad avere la disponibilità di un flusso enorme di informazioni sulle preferenze degli utenti, cioè, in altre parole, possono analizzare dei big data. È un dubbio questo che sembra confermato almeno in parte dalle compagini aziendali delle due piattaforme. Tra gli investitori di Ofo spicca Alibaba, il colosso dell'e-commerce, e Mobike e Ofo insieme detengono il 90% del mercato del bike sharing, con un fatturato rispettivamente di tre miliardi e un miliardo di dollari: dipende tutto dalle biciclette o c'entra anche quel che gli utenti indirettamente forniscono per poterle noleggiare?

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Nata nel 1992 in provincia di Milano. Si è laureata in giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci e il diritto al lavoro, grazie alla quale ha vinto il premio Angiolino Acquisti Cultura della Pace e il premio Matteotti. Ora è assegnista di ricerca in diritto del lavoro. È autrice dei libri Potere forte. Attualità della nonviolenza (effequ, 2019) e Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (effequ, 2022).
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