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Brescia, omicidio di Sana Cheema, il padre e il fratello sono irreperibili: a rischio il processo

Non sono reperibili dalla giustizia italiana il padre e il fratello di Sana Cheema, la 25enne trovata morta il 18 aprile 2018 in Pakistan. I due sono accusati dalla procura di Brescia dell’omicidio della giovane avvenuto in Pakistan, durante un viaggio della ragazza nel suo paese di origine: ora però il processo rischia di non partire.
A cura di Chiara Ammendola
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Sana Cheema (foto dal profilo Instagram)
Sana Cheema (foto dal profilo Instagram)

Rischia di non partire il processo sull'omicidio di Sana Cheema, la 24enne bresciana di origini pakistane morta in patria nell'aprile dello scorso anno. Il padre e il fratello della vittima, il 50enne Mustafa Gulham e il 32enne Adnan, sono infatti irreperibili. I due sono accusati dalla procura generale di Brescia dell'omicidio della 24enne ritrovata morta il 18 aprile del 2018 durante il suo viaggio in Pakistan. La ragazza, cittadina italiana, sarebbe stata strangolata dal padre e dal fratello, ai quali viene contestata anche l'aggravante della premeditazione. Secondo il procuratore generale Pierluigi Maria Dell'Osso, la ragazza, cittadina italiana, sarebbe stata strangolata dal padre e dal fratello, perché si sarebbe rifiutata di acconsentire a un matrimonio combinato dalla sua famiglia: ai due la procura ha anche contestato l'aggravante della premeditazione.

Gli indagati non si trovano e il processo rischia di non poter partire

Una prima inchiesta sulla morte della ragazza, che a Brescia era molto conosciuta e integrata, c'era stata anche in Pakistan: lì però le autorità avevano assolto tutte le persone coinvolte per mancanza di prove. La sentenza, emessa dal tribunale distrettuale di Gujrat, nel Nord-Est del Paese, aveva assolto gli 11 imputati, tutti familiari, tra i quali figuravano anche il padre, la madre e diversi altri parenti, accusati di aver preso parte a quell'omicidio. Per il giudice non c'erano prove sufficienti o testimoni dell'omicidio. Poi all'inizio dell'anno la procura generale guidata da Pier Luigi Maria Dell'Osso ha avocato l'inchiesta: ora la notizie che i due indagati non sono più reperibili per la giustizia italiana. Così il processo italiano rischia di non partire.

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