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Covid 19

Addio contratto pubblico, arriva quello privato: il San Raffaele ripaga così i suoi dipendenti

L’ospedale ‘in prima linea contro il Covid’ che tanto ci aveva sperare in un privato capace di affiancare il pubblico nel momento del bisogno ha cambiato il contratto ai suoi circa 3200 dipendenti, fino all’altro ieri “eroi”. Per loro non ci sarà più il contratto pubblico nazionale ma un contratto privato Aiop aggiornato 14 anni fa, con valore retroattivo, meno garanzie, meno tutele, meno inquadramenti, e zero diritto allo studio.
A cura di Stela Xhunga
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“Gruppo Rotelli te lo diciamo, il contratto non lo cambiamo”, invece ieri il Cda del San Raffaele di Milano, l’ospedale ‘in prima linea contro il Covid’ che tanto ci ha sperare in un privato capace di affiancare il pubblico nel momento del bisogno, il contratto lo ha cambiato eccome ai suoi circa 3200 dipendenti. Nonostante si tratti di una struttura accreditata che eroga servizi convenzionati e perciò riceva anche fondi pubblici destinati alla sanità, i vertici hanno spinto per passare dal CCNL pubblico nazionale al CCNL privato Aiop, il cui ultimo aggiornamento risale a 14 anni fa e la cui validità è retroattiva, con conseguenze, quindi, anche sul personale assunto ad aprile, quando, in piena carenza di personale, gli infermieri erano manna dal cielo, ‘benedetti da Dio’, e a lamentarsi della propaganda del terrore c'era giusto Vittorio Sgarbi. Il contratto Aiop è pensato per piccole cliniche private, rsa e case di riposo con un ridotto numero di inquadramenti occupazionali, non certo per un centro di ricovero e cura a carattere scientifico tra i massimi in Europa come il San Raffaele. Per intenderci, il contratto Aiop non prevede nemmeno i fisioterapisti. 

In una nota ufficiale diffusa ieri l’Ospedale San Raffaele precisa che “l’applicazione di tale contratto non comporterà alcun arretramento economico per i lavoratori, e consentirà all’Ospedale di uniformarsi alla generalità delle strutture sanitarie operanti nella sanità privata, compresi gli Irccs, all’interno delle quali viene applicato il Ccnl Aiop”. Non cambierà niente, dicono dai vertici, nemmeno la trattenuta per la mensa, che con il nuovo contratto passerebbe da 1,53 euro a 1,55 giornalieri. Nessun rincaro di 2 centesimi al giorno per l'accesso alla mensa, una generosità struggente, ecumenica, e però, fuori dalla mensa, non tutto rimarrà invariato come dicono dall'amministrazione. Tanto per cominciare, ci dice Margherita Napoletano, delegata sindacale e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza dell’ospedale San Raffaele, sparisce il diritto allo studio.

Se fino a ieri i lavoratori sanitari erano incentivati a migliorarsi frequentando a proprie spese scuole serali, università di infermieristica e master di specializzazione grazie alle 150 ore di permesso retribuito, ora non potranno più farlo, a meno di disporre di risorse economiche tali da compensare le assenze non retribuite. “I permessi – spiega Napoletano – che già da noi erano di 150 ore a fronte delle usuali 300, d'ora in poi non saranno più retribuiti. A meno che non sia l'azienda a dire al lavoratore di specializzarsi, ogni formazione è a suo carico”.

Ciò significa che “se un ausiliare entra in ospedale spingendo solo le carrozzelle, ma si rende conto di essere portato per una professione di assistenza e decide di migliorarsi, non può farlo. Lo stesso dicasi per un operatore sociosanitario che vuole diventare infermiere, o un infermiere che vuole specializzarsi in terapia intensiva e dare una mano in previsione di future ondate di emergenze”. L'ambizione del lavoratore (a meno che sia un medico o un ricercatore, lì la suonata cambia) non viene più favorita dall'azienda, e questo “si ripercuote non solo sulla fidelizzazione del dipendente, ma anche sulla qualità del servizio, nel caso del San Raffaele, sia pubblico che privato. Una sconfitta per la collettività”. Quanto agli stipendi, la sindacalista avverte: “È tutto da vedere, qualche stipendio per forza si abbasserà, visti i declassamenti causati dai diversi inquadramenti”.

Per Margherita Napoletano si tratterebbe di una decisione politica presa prima dello scoppio della pandemia e portata avanti silenziosamente durante il lockdown, senza trattare con i sindacati, approfittando dei divieti di assembramenti che hanno impedito, almeno fino alla comparsa dei gilet arancioni, le manifestazioni. Il 27 febbraio era anzi previsto uno sciopero, ma i sindacati lo hanno responsabilmente sospeso, meglio lavorare in corsia, si è detto. E poi, visti i sacrifici, viste le convenzioni con la sanità pubblica, visti gli utili maturati dall'azienda anche durante il Covid, si dava per scontato che il Cda ci avrebbe ripensato e avrebbe mantenuto il contratto così com'era, pubblico.

Tanto più che negli ultimi tempi i rapporti con la sanità pubblica si sono rafforzati: ad esempio, tramite una convenzione con il Gruppo San Donato (altro colosso privato della sanità lombarda) e il Ministero degli Interni, il San Raffaele dispone di un intero reparto “libico”, completamente appaltato a un’azienda di professionisti esterni, in cui ospita feriti di guerra di fazione governativa provenienti dalla Libia. Un servizio sanitario al servizio della diplomazia internazionale, mica bruscolini. Dunque, stando così le cose, perché introdurre un contratto di lavoro, certo più conveniente per l'azienda, proprio ora che la gestione sanitaria lombarda è nell'occhio del ciclone, l'emergenza è temporaneamente rientrata ma tutt'altro che scomparsa, e il fatturato del San Raffaele gode di ottima salute?

La partita comunque non è chiusa assicura la sindacalista Margherita Napoletano, anche lei, come Elena Bottinelli, Ad del nosocomio, laureata in ingegneria medica. Mercoledì si terrà il primo tavolo, sarà in videoconferenza e vedrà la partecipazione del Prefetto di Milano. Se la trattativa non andrà in porto, sarà sciopero. Non che le azioni di protesta siano del tutto mancate finora: dopo un flashmob con manifestanti incatenati, venerdì 22 maggio una lavoratrice in Fis (Fondo integrazione salariale), a nome di infermieri, amministrativi, tecnici, educatori e fisioterapisti e personale di supporto, ha tentato di consegnare all’amministratrice delegata Bottinelli una lettera, ma la dottoressa non ha dato udienza. La donna, allora, vestita da postina, ha fatto recapitare il messaggio facendo passare le carte sotto la porta, come si usava fare un tempo con la corrispondenza nelle case dei signori. C'è scritto “diamo un servizio pubblico e vogliamo mantenere il contratto pubblico”, seguito da un migliaio di firme.

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