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Processo sulle collaboratrici, Maroni rinuncia a farsi interrogare in tribunale

Il governatore della Lombardia Roberto Maroni ha deciso di non farsi interrogare nell’ambito del processo che lo vede imputato per i presunti favori a due sue ex collaboratrici. Alla base della decisione l’assoluzione di un altro ex imputato nella vicenda, l’ex direttore generale Expo Christian Malangone. Il leader dei 5 stelle Di Maio: “Penso che, quando si è chiamati a rispondere davanti ai giudici, ci si debba andare”.
A cura di Francesco Loiacono
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Roberto Maroni non si è presentato per l'ennesima volta in tribunale, a Milano, per essere ascoltato al processo sui presunti favori alle sue ex collaboratrici che lo vede imputato. Ma questa volta non si è trattato di un legittimo impedimento o di motivi di salute del suo legale Domenico Ajello, che avevano determinato le precedenti assenze. Si è trattata invece di una decisione (legittima) dell'imputato, che come ha chiarito Luigi Ferrarella sul "Corriere della sera" ha rinunciato al proprio interrogatorio come mezzo di prova. Maroni, dunque, non sarà più interrogato dal pubblico ministero Eugenio Fusco, titolare dell'inchiesta che ha portato al rinvio a giudizio del governatore lombardo con le accuse di induzione indebita e turbata libertà della scelta del contraente. Se lo vorrà, comunque, il presidente della Lombardia potrà rendere dichiarazioni spontanee, anche attraverso il suo legale.

Decisiva l'assoluzione dell'ex dg Expo Christian Malangone

A cosa è dovuta la decisione di Maroni? In sostanza è legata a filo doppio alla recente assoluzione ("perché il fatto non sussiste") di un altro ex imputato nella vicenda dei presunti favori a Mara Carluccio e Maria Grazia Paturzo, ex collaboratrici di Maroni ai tempi del Viminale. L'ex direttore generale di Expo, Christian Malangone, è stato infatti scagionato da ogni accusa con una sentenza ormai divenuta definitiva, perché non impugnata in Cassazione dalla procura generale. E proprio l'esito del processo a Malangone spianerebbe la strada a una possibile assoluzione del governatore, che ha deciso a questo punto di non dover più testimoniare in aula per difendersi dalle accuse che gli sono state mosse. Secondo il legale di Maroni, inoltre, la testimonianza del governatore non è più necessaria dopo la deposizione di Giacomo Ciriello, capo della segreteria del governatore, che secondo Aiello "ha chiarito le circostanze oggetto d’accusa anche nei confronti di Maroni, eliminando ogni possibile rilievo delle sue condotte".

Di Maio: Quando si è chiamati dai giudici si deve andare

Sul fronte della vicenda giudiziaria vanno segnalati altri due punti: in primo luogo il pm Fusco ha chiesto l'acquisizione agli atti della sentenza di assoluzione di Malangone perché il fatto storico ricostruito durante il processo sarebbe comunque aderente alla realtà, nonostante l'esito possa giocare proprio contro l'accusa. In secondo luogo, va segnalata la decisione della difesa di Maroni di sfoltire la propria lista di testimoni da 59 a 15, forse per arrivare prima delle prossime elezioni a una sentenza (che la difesa spera ovviamente sia favorevole) e non gravare Maroni di una spada di Damocle durante la campagna elettorale. Se questo è quanto avvenuto sul piano giudiziario, sul fronte delle polemiche politiche è da segnalare quanto affermato il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, candidato alla Presidenza del Consiglio dei Cinque Stelle impegnato in questi giorni in Lombardia per la campagna elettorale: "Maroni ha deciso di non raccontare quello che gli viene chiesto dai giudici – ha detto ai cronisti – Ovviamente giudicheranno i giudici, lo giudicheranno i cittadini. Io personalmente penso che, quando si è chiamati a rispondere davanti ai giudici, ci si debba andare".

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