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Partorire nel Boschetto della droga a Milano: segno di un Paese che lascia indietro i più deboli

A Milano una ragazza partorisce in una cascina diroccata nel tristemente famoso Boschetto della droga di Rogoredo. La madre, tossicodipendente, e il suo bambino sono stati salvati da un passante che ha chiamato i soccorsi. E viene da chiedersi: ma dov’è questa sicurezza di cui tutti cianciano e che invece resta solo propaganda?
A cura di Giulio Cavalli
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È una storia minima. Di quelle che ci scivolano addosso e non rimangono attaccate più di qualche secondo. È una storia buia, nel buio del boschetto di Rogoredo ma soprattutto nel buio della disperazione, della droga e di una cascina che si trasforma in capanna per un parto che non ha nulla a che vedere con le rimembranze natalizie. Nei giorni scorsi, a Milano, una ragazza ucraina, tossicodipendente, ha avuto le doglie mentre elemosinava l'ultima dose. Questa è una storia che puzza da turarsi il naso eppure è una di quelle che avvengono quotidianamente tra i diseredati di un Paese che usa le periferie come percolato dell'umanità cenciosa che non vuole vedere in giro, che i sindaci stanno bene attenti a non fare sfilare per le vie del centro.

Un Paese che lascia indietro i più deboli

A Milano una ragazza ucraina partorisce dentro una cascina diroccata. Solo l'intervento di un'anima pia, un passante che ancora ha il cuore per osservare anche tra quelli che vengono scavalcati come rifiuti ha messo in salvo la donna e il bambino. Ecco, mi viene da pensare a lei e a lui. E a questo tempo. In cui, ancor più del solito mentre si ciancia di sicurezza invece abbiamo una paura fottuta dei cenciosi, delle persone ai margini, dei poveri, dei disperati, dei viziosi, dei drogati e di tutti quelli che non sono niente. Forse, mi dico, proprio perché non sono niente ci fanno così spavento: non hanno niente dentro e guardandoli ci specchiamo nell'indifferenza di un Paese che lascia indietro chi compie una debolezza, chi è troppo fragile per rimanere al passo della società che è diventata un treno senza nessun tentennamento.

Serve sicurezza, anche per gli ultimi

Non è questione di buoni sentimenti. No. Non solo. Ed è così fuori moda scriverne, di buoni sentimenti, che non ci mettiamo di sicuro adesso a provare a convertire un'intera nazione all'umanità. No. È questione di sicurezza, appunto. Nel senso pieno del termine. Sicurezza sugli ultimi, i diseredati, quelli che non rientrano in nessun decreto sicurezza ma stanno ai margini e sembra che non siano calcolati dalla politica che non si prende cura di loro. Non sarebbe sicuro che una ragazza tossicodipendente avesse un luogo dove portare aventi la propria gravidanza? Non sarebbe sicuro sapere cosa succede ai bordi delle nostre città? Non sarebbe sicuro non relegare un nascituro a una vita che sembra già segnata? Perché la sicurezza, a guardarla bene, rigirandola tutta tra le mani, osservandone tutti i lati e non solo quelli che ci vengono esposti dalla propaganda, la sicurezza è una parola rotonda, profumata, pulita che contiene tutti i regolamenti per non lasciare indietro nessuno. E invece quei meccanismi non funzionano, la gente non ne parla e allora viene da chiedersi: ma che sicurezza è quella che relega una nascita dentro una cascina diroccata infestata di siringhe? A quel bimbo, quando cresce, come glielo spieghiamo che è nato proprio mentre il feticcio della sicurezza veniva sventolato con gran clamore?

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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