Omicidio Lidia Macchi: Stefano Binda assolto in appello. I giudici cancellano l’ergastolo
La Corte d'Assise d'Appello di Milano ha assolto Stefano Binda, il 51enne condannato in primo grado all'ergastolo per l'omicidio di Lidia Macchi, la studentessa di 21 anni violentata e uccisa nel gennaio del 1987 in provincia di Varese. Secondo i giudici Binda non ha commesso il fatto. Respinta dunque la richiesta del sostituto procuratore generale Gemma Gualdi, che quest'oggi in aula aveva chiesto che venisse confermato il carcere a vita per l'unico imputato in un delitto avvenuto più di 30 anni fa e riaperto nel 2016 proprio con l'arresto di Binda. Ora il 51enne compagno di scuola di Lidia potrà lasciare il carcere e tornare in libertà lasciando così un nuovo punto interrogativo in uno dei cold case più oscuri della storia italiana.
Omicidio Lidia Macchi: Stefano Binda assolto in appello perché non ha commesso il fatto
L'omicidio di Lidia Macchi è stato riaperto a quasi 30 anni dalla morte della ragazza, ritrovata senza vita in un bosco di Cittiglio in provincia di Varese, violentata e poi uccisa con 29 coltellate. La svolta la si è avuta nel gennaio del 2016, quando l'allora 47enne Stefano Binda, ex compagno di liceo di Lidia, venne arrestato a Brebbia, nel Varesotto con l'accusa di aver ucciso Lidia. Da allora Binda si è sempre dichiarato innocente: a incastrarlo sarebbe stata in particolare una lettera anonima, con la poesia "In morte di un'amica", fatta recapitare il giorno dei funerali alla famiglia di Lidia. La missiva, che secondo gli inquirenti descriveva situazioni e particolari che potevano essere noti solo all'omicida, è stata attribuita da una perizia calligrafica allo stesso Binda. Il 24 aprile dello scorso anno Stefano Binda è stato condannato all'ergastolo dalla Corte d'assise di Varese.
Omicidio Lidia Macchi: il supertestimone e l'autore della lettera
Nei giorni scorsi un nuovo colpo di scena: nel corso del processo d'appello, l'avvocato Piergiorgio Vittorini, ha testimoniato in aula spiegando che l'autore della lettera "In morte di un'amica" sarebbe un suo cliente, e dunque non Binda. L'uomo, autore della lettera però non è però mai andato dalla polizia perché non ricordava dove si trovasse la notte del delitto e aveva paura di essere accusato ingiustamente. Nella sua requisitoria il procuratore generale Gemma Gualdi aveva chiesto che venisse confermato l'ergastolo per Binda, ritenuto l'assassino di Lidia Macchi nonché l'autore della lettera anonima. Richiesta che i giudici hanno respinto decidendo per l'assoluzione di Binda.