Omicidio Lidia Macchi, attesa la sentenza d’appello. Binda: “Non l’ho uccisa io”

C'è attesa per la sentenza del processo d'appello per l'omicidio di Lidia Macchi, giovane studentessa universitaria uccisa il 5 gennaio del 1987 nei boschi di Cittiglio, in provincia di Varese. Unico imputato davanti alla prima Corte d'Assise d'appello di Milano è Stefano Binda, un vecchio amico di Lidia che come lei all'epoca frequentava gli ambienti di Comunione e liberazione. Binda è stato condannato in primo grado all'ergastolo ma si è sempre proclamato innocente. E anche in questa circostanza ha ribadito la sua estraneità all'omicidio: "Sono innocente. Non ho ucciso Lidia Macchi, non l'ho uccisa", ha detto Binda questa mattina nel corso di una dichiarazione spontanea. "Io non so nulla di quella sera: ero a Pragelato, solo quando sono tornato ho saputo della scomparsa. Sono estraneo ai fatti e a tutti gli addebiti".
Binda è stato arrestato 29 anni dopo la morte di Lidia Macchi
L'omicidio di Lidia Macchi è un cosiddetto "cold case" che è stato riaperto a quasi 30 anni dalla morte della ragazza. La svolta la si è avuta nel gennaio del 2016, quando l'allora 47enne Stefano Binda, ex compagno di liceo di Lidia, venne arrestato a Brebbia, nel Varesotto con l'accusa di aver ucciso a coltellate Lidia, trovata senza vita nei boschi di Cittiglio dopo aver consumato, probabilmente con il suo assassino, un rapporto sessuale consensuale. Da allora Binda si è sempre dichiarato innocente: a incastrarlo sarebbe stata in particolare una lettera anonima, con la poesia "In morte di un'amica", fatta recapitare il giorno dei funerali alla famiglia di Lidia. La missiva, che secondo gli inquirenti descriveva situazioni e particolari che potevano essere noti solo all'omicida, è stata attribuita da una perizia calligrafica allo stesso Binda. Il 24 aprile dello scorso anno Stefano Binda è stato condannato all'ergastolo dalla Corte d'assise di Varese. Negli scorsi giorni, tuttavia, nel corso del processo d'appello si è verificato un nuovo colpo di scena: un avvocato, Piergiorgio Vittorini, ha testimoniato in aula spiegando che l'autore della lettera "In morte di un'amica" sarebbe un suo cliente, che non è però mai andato dalla polizia perché non ricordava dove si trovasse la notte del delitto. Nella sua requisitoria il procuratore generale Gemma Gualdi ha chiesto che venga confermato l'ergastolo per Binda, ritenuto l'assassino di Lidia Macchi nonché l'autore della lettera anonima. La sentenza è attesa in giornata: tra qualche ora si saprà se per i giudici la testimonianza dell'avvocato potrà bastare a scagionare Binda oppure no.