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No ai burqa nei luoghi pubblici, la Corte d’Appello dà il via libera alla regione Lombardia

Secondo la Corte d’Appello di Milano la delibera della regione Lombardia che vieta l’ingresso di persone a volto coperto, ad esempio chi indossa il burqa o il niqab, nei luoghi pubblici non è discriminatoria. Confermata dunque la sentenza di primo grado del tribunale che aveva considerato ragionevole la delibera “alla luce della esigenza di identificare coloro che accedono nelle strutture indicate, poiché si tratta di luoghi pubblici, con elevato numero di persone”
A cura di Chiara Ammendola
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Una donna con il velo di tipo Niqab (Immagine di repertorio)
Una donna con il velo di tipo Niqab (Immagine di repertorio)

La Corte d'appello di Milano ha dato ragione alle regione Lombardia che nel 2016 ha varato una delibera che vieta l'ingresso di persone a volto coperto, ad esempio chi indossa il burqa o il niqab, nei luoghi pubblici: secondo la sentenza dunque la delibera non è discriminatoria ma segue la giusta logica delle ragioni di sicurezza. Si tratta di una conferma di quanto già stabilito in primo grado dal tribunale il 20 aprile del 2017. Successivamente alcune associazioni tra cui quella degli studi Giuridici sull'Immigrazione, gli Avvocati per Niente Onlus, l'Associazione Volontaria di Assistenza sociosanitaria e per i diritti dei Cittadini stranieri, Rom e sinti e la Fondazione Guido Piccini per i Diritti dell'Uomo Onlus avevano presentato il ricorso. Ricorso che però non ha fatto altro che confermare la sentenza con cui nel 2017 il tribunale considerato ragionevole la delibera "alla luce della esigenza di identificare coloro che accedono nelle strutture indicate, poiché si tratta di luoghi pubblici, con elevato numero di persone".

"La Corte d'Appello ha bocciato lo strenuo tentativo proposto dai ricorrenti – il commento soddisfatto dell'assessore lombardo alla Sicurezza, Riccardo De Corato – cioè quello di consentire l'identificazione mediante rimozione temporanea del burqa". Per De Corato "è alquanto strano che associazioni per i diritti degli indifesi si battano per il riconoscimento del burqa, pratica alquanto discriminatoria verso le donne, considerate di proprietà esclusiva dai loro compagni musulmani al punto che nessun altro le può guardare. La sentenza non lascia altre interpretazioni per le associazioni: la Corte condivide integralmente la motivazione del giudice di primo grado, ma questo sicuramente non basterà loro ed èscontato che si appelleranno in Cassazione".

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