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Nicole, morta di otite a 4 anni: “Un antibiotico poteva salvarla”

La piccola Nicole Zacco, morta a quattro anni per un’otite, poteva essere salvata. A dirlo sono i consulenti incaricati dalla procura di Brescia per indagare le cause della morte della bimba. Nella relazione dei medici si evidenzia come la pediatra di famiglia avrebbe dovuto prescrivere fin da subito una terapia antibiotica, che probabilmente avrebbe salvato Nicole.
A cura di Enrico Tata
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La piccola Nicole Zacco con i genitori (Facebook)
La piccola Nicole Zacco con i genitori (Facebook)

Sarebbe bastato un antibiotico per salvare la vita alla piccola Nicole Zacco, la bambina bresciana di quattro anni morta lo scorso aprile per un'infezione dovuta ad un'otite. Secondo la relazione dei consulenti incaricati dalla procura di Brescia, pubblicata in anteprima questa mattina su Il Giorno, la bimba poteva essere salvata. In 54 pagine i due consulenti incaricati di eseguire l'autopsia sul corpo senza vita di Nicole, il professor Francesco Ventura e la dottoressa Antonella Palmieri, sostengono che la condotta di un medico, la pediatra della piccola, sarebbe stata "superficiale e poco accorta". Nelle parole dei medici "a fronte della persistente sintomatologia algica per 10 giorni la dottoressa avrebbe dovuto impostare una antibioticoterapia e richiedere una visita otorinolaringoiatrica. L'eventuale somministrazione per via orale di un comune antibatterico avrebbe implicato una repentina abbattimento della carica batterica e una ripresa clinica. La sua condotta ha determinato uno sproporzionato ritardo diagnostico terapeutico, il quale abbatteva pesantemente le probabilità di sopravvivenza della bambina". In altre parole se la dottoressa le avesse prescritto subito un antibiotico, probabilmente Nicole Zacco non sarebbe morta.

Per la morte di Nicole sono indagati quindici medici, tra cui la pediatra di famiglia, ma anche i dottori dell'ospedale di Manerbio, Brescia, della Clinica Poliambulanza di Brescia e degli Spedali Civili. Per quanto riguarda quest'ultimo ospedale i consulenti non hanno evidenziato "colpe derivanti da imprudenza e imperizia avendo rispettato le linee guida e le buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica". I medici del Manerbio, invece, avrebbero "dovuto eseguire i necessari esami ematochimici e una coltura auricolare tramite tampone impostando una terapia antibiotica. L’inadeguata e negligente condotta medico-professionale non appare però sufficiente per supportare un nesso causale con il decesso in quanto il quadro infettivo sottendeva scarse possibilità di regressione".

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