Nessun complice a Milano e in Lombardia: chiuse le indagini sul terrorista Anis Amri
A quasi un anno dall'uccisione di Anis Amri a Sesto San Giovanni, la procura di Milano ha chiesto l'archiviazione dell'inchiesta sulla presunta rete su cui il terrorista si sarebbe appoggiato a Milano e in Lombardia. Il fascicolo era stato aperto contro ignoti dal procuratore aggiunto Alberto Nobili e dai pubblici ministeri Piero Basilone e Paola Pirotta, del pool antiterrorismo della procura. L'ipotesi di reato era di terrorismo internazionale: i magistrati volevano capire se qualcuno avesse aiutato l'autore della strage ai mercatini di Natale di Berlino (di cui domani ricorre l'anniversario) a muoversi sul territorio nazionale.
A Catania girò al contrario tutti i crocifissi
Non è così: Amri avrebbe agito in sostanza da solo, confermando l'ipotesi del "lupo solitario". Il giovane tunisino partì proprio dall'Italia per il suo viaggio di morte e terrore, iniziato con una sorta di "presagio": mentre era ospite di un alloggio per minori vicino a Catania aveva girato al contrario tutti i crocifissi della struttura in segno di provocazione. Il dettaglio è inserito nelle 17 pagine di richiesta d'archiviazione ed è stato raccontato agli inquirenti milanesi da una religiosa della comunità, che ha aggiunto che Amri dirigeva la preghiera islamica collettiva e invitava provocatoriamente la responsabile della struttura a unirsi in preghiera.
La strage a Berlino e l'uccisione a Sesto San Giovanni
Il 19 dicembre dello scorso anno il tunisino, dopo essersi impossessato del tir di un autotrasportatore polacco partito da Cinisello Balsamo, da lui ucciso, travolse la folla ai mercatini natalizi nel quartiere di Charlottenburg uccidendo 12 persone e ferendone 48. Il killer era poi fuggito attraverso Paesi Bassi e Francia, prima di ritornare in Italia: era rientrato a Bardonecchia, in Piemonte, da dove aveva preso un treno per la stazione Centrale di Milano. Da qui si era diretto verso la stazione in piazza Primo maggio a Sesto San Giovanni, a nord del capoluogo: fermato per un controllo di routine da due poliziotti, Luca Scatà e Christian Movio, aveva ingaggiato con i due un conflitto a fuoco nel quale era rimasto ucciso. Per molto tempo nessuno, anche tra i suoi familiari, ne ha reclamato la salma.