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‘Ndrangheta al Nord: il rapporto con la Calabria e quel vecchio boss zoppo e malato

Nelle pieghe dell’ordinanza di custodia cautelare dell’operazione “Quadrifoglio”, coordinata dal procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini, emergono i dettagli di come la ‘ndrangheta si sia insinuata sempre di più nel tessuto sociale milanese: un rapporto costante con la propria terra d’origine e la guida affidata a boss ben lontani dai cliché cinematografici. I professionisti lombardi, in giacca e cravatta, diventano strumenti nelle mani delle cosche per allungare le mani su affari e appalti: non solo Expo, sfiorato dalll’ultima inchiesta, ma anche imprese e Consigli comunali.
A cura di Ester Castano
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Nell'ordinanza di custodia cautelare dell'operazione “Quadrifoglio” coordinata dal procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini che ha portato in carcere 13 persone emergono chiaramente almeno due aspetti che caratterizzano la ‘ndrangheta al Nord: primo, gli affari delle cosche si svolgono in Lombardia, ma il rapporto degli affiliati con la casa madre calabrese è saldo e il settore prediletto dalle ‘ndrine è quello del movimento terra; secondo, a capo dell'organizzazione criminale non c'è un uomo d'affari col doppio petto laureato ad Oxford e la ventiquattrore sottobraccio come le fiction televisive vorrebbero far credere, ma il boss 80enne zoppo e malato Salvatore Muscatello. Classe 1934, rispettato da tutti, è nato ad Amato, piccolo borgo del catanzarese di 825 anime, e in Lombardia è padrino della cittadina brianzola di Mariano Comense. Già arrestato nei primi anni Novanta nell'inchiesta “I fiori della notte di San Vito” e nel 2010 nell'operazione Infinito, è nel secondo dopoguerra che il vecchio boss risale lo Stivale conquistandosi le doti ad una ad una fino a cementificare la sua reputazione. Ha un viso scuro e tondo, corporatura tozza in larghezza e di statura minuta: con i suoi folti baffi bianchi che gli incorniciano le labbra sottili il patriarca Muscatello ottiene il rispetto di Rocco Aquino, Giuseppe Pelle e Domenico “Mico” Barbaro, i più potenti esponenti della ‘ndrangheta della costa ionica. Addirittura i Valle si recano da lui per risolvere problemi famigliari e giudiziari. E al matrimonio tra Elisa Pelle (figlia di Giuseppe Pelle detto “Gambazza”) e Giuseppe Barbaro (figlio del defunto Barbaro Pasquale della più potente famiglia ‘ndranghetista presente in Lombardia "U Castanu") celebrato nel 2009 il vecchio boss non solo siede in prima fila, ma addirittura si prodiga di distribuire agli affiliati del Nord inviti e partecipazioni per la festa di nozze.

Il capo dei capi della Lombardia

E quando il cosiddetto “capo dei capi” della Lombardia Carmelo Novella, ammazzato a San Vittore Olona nel milanese a luglio 2008, gli ordina di continuare a governare sulle ‘ndrine lombarde e di stare al suo posto, lui prende il comando alla lettera: non rinuncerà al ruolo di boss al Nord nemmeno quando nel giugno scorso è condannato dalla Corte d'Assise d'Appello di Milano a 17 anni di carcere. Vista l'età avanzata, i magistrati gli permettono di scontare la pena ai domiciliari: e la sua abitazione in Brianza, situata tra le colline su cui scorre il torrente Seveso e il fiume Lambro, è il luogo perfetto per continuare a vigilare sugli affari della ‘ndrangheta padana. Quattro anni fa era stato arrestato assieme all'imprenditore comasco Ivano Perego che, dopo aver messo la sua azienda a disposizione della ‘ndrina Strangio, era entrata nei cantieri Expo. Perego oggi sconta la pena in carcere e la sua azienda è fallita, lasciando a casa decine di operai: Muscatello continua a fare il boss dai domiciliari. Dei tredici arrestati martedì 28 ottobre Muscatello era persona esemplare: il punto di riferimento per i clan del Nord che hanno messo le mani sulle opere legate a Expo 2015 non è un imprenditore poliglotta e plurilaureato che di calabrese ha solo il cognome, ma un ometto basso in là con gli anni e cagionevole di salute, col volto rugoso e abbronzato da contadino dell'Aspromonte che cammina con il bastone e respira con la bombola d'ossigeno.

I professionisti al servizio della ‘ndrangheta

La cosiddetta “classe dei professionisti”, cioè banchieri, commercialisti, avvocati, funzionari comunali e imprenditori, sono lo strumento che la ‘ndrangheta usa per arricchire le tasche dell'associazione. Come fossero pedine: dal volto pulito, magari anche con il certificato antimafia in tasca, ma manovrate da una mafia che ancora oggi fa del controllo della terra la propria prerogativa. Un cono d'ombra fatto da insospettabili che con la spalla della politica ha permesso alle ‘ndrine di controllare il territorio, dalla stesura dei piani regolatori dei comuni del milanese alla realizzazione della Teem, la Tangenziale est esterna di Milano che collega Agrate a Melegnano, una delle grandi opere connesse a Expo 2015. Secondo gli inquirenti non sarebbe un caso che le imprese che concorrono ai lavori di movimento terra per la Tangenziale Est, la Skavedil Srl ed Edilscavi Srl, siano di Geatano Mangialavori e Domenica Montele, cognati di Giuseppe Galati, arrestato martedì. Lo stesso Galati che secondo l'accusa è ottimamente inserito all'interno della ‘ndrangheta, in Lombardia come in Calabria. Lo dimostrerebbe, tra le altre cose, il suo ruolo chiave nell'individuazione di un difensore tramite un latitante. Peccato che il soggetto in questione, 43enne, gestiva i suoi affari non dall'ufficio delle imprese i cui cognati sembrerebbero essere prestanomi, ma dalla cella del carcere in cui è detenuto: arrestato nel 2011 gestiva le società creando alleanze, cercando interlocutori e pedine da manovrare da carcere. Al soldo del Galati, nel suo ufficio dietro le sbarre, anche un agente della polizia penitenziaria, dirigenti di banca e un funzionario dell'Agenzia delle Entrate. Secondo gli inquirenti l'assegnazione a Skavedil del subappalto per la Tangenziale sarebbe stato pilotato: e perdipiù l'azienda aveva il certificato antimafia. Per accorgersi che il comparto amministrativo della Skavedil non era dei più puliti sarebbe bastata una visura in più, una verifica sui soci o sullo storico dell'azienda. O semplicemente cliccare in internet su un qualsiasi motore di ricerca: la famiglia di ‘ndrangheta Galati, radicata sul territorio del Comune di Cabiate (Como), è legata alla cosca dei Mancuso. Una ‘ndrina, quest'ultima, capace di rigenerarsi nonostante gli arresti e le condanne.

Inoltre Giuseppe Galati risulta essere molto informato delle vicende che riguardano la famiglia di ‘ndrangheta a cui appartiene, attiva in Brianza e nel comasco, ed è in rapporto con Luigi Addisi, l'ex consigliere comunale Pd del Comune di Rho coniugato con la nipote del potente boss Pantaleone Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia). Eletto nel 2011 con 143 preferenze su un totale di 3911 raccolte dalla lista di centro sinistra dell'attuale sindaco Pietro Romano. Consigliere di Cap Holding, un posto fisso dal 2009 nei lavori per la Milano-Serravalle, Addisi è stato arrestato martedì dai Ros con l'accusa di ricettazione, riciclaggio e abuso d'ufficio aggravati dall'aver favorito la mafia. Di lui il gip Ferraro scrive: “Ha agito in piena consapevolezza di strumentalizzare il ruolo di consigliere comunale per  fini diversi dal perseguimento del pubblico interesse”. Si era dimesso dal consiglio la scorsa primavera a seguito del suo presunto coinvolgimento nella compravendita di voti portata alla luce dall'indagine Metastasi di aprile 2014: il suo nome infatti non era nuovo. Le intercettazioni su cui posano le basi dell'operazione Quadrifoglio contengono narrazioni preziose: gli affiliati discutono al telefono e si incontrano nei posti più insospettabili per stabilire le direttive che riguardano la vita dell'associazione e i ruoli dei partecipanti.

Non solo Expo: la radicata presenza delle ndrine a Milano

Nell'Ordinanza di custodia cautelare in carcere i magistrati danno inoltre atto dell'importanza delle rivelazioni del collaboratore di giustizia Antonino Belnome, il primo boss di ‘ndrangheta nato, cresciuto, affiliato ed infine pentito in Lombardia, esecutore materiale dell'omicidio Novella. Già nel 2010, periodo di piena attività del boss Belnome operante a Giussano e Seregno, era chiara la struttura della ‘ndrangheta al Nord e, soprattutto, i nomi degli affiliati erano già conosciuti. Sempre i soliti noti: sia alle autorità giudiziarie, sia da chi attorno ad Expo organizza il malaffare. E se è vero che nelle 800 pagine di Ordinanza non compare un coinvolgimento diretto con il cantiere dell'esposizione universale che sarà inaugurato a maggio, l'indagine della Dda di Milano svela nuovamente la massiccia e radicata presenza delle cosche nel tessuto sociale milanese: nelle imprese, nei Consigli comunali e negli appalti come il caso della Tangenziale Est, grande opera collaterale a Expo 2015. E la Prefettura di Milano, ad oggi, ha emesso una sessantina di interdittive per le aziende che lavorano nei cantieri collegati all'esposizione che, a Milano, fu sin dall'inizio presentata alla cittadinanza come evento salvifico per ammodernare la città rendendola capitale europea: con nuove strade, nuove ferrovie, nuove linee metropolitane, la realizzazione di una nuova autostrada e, fra le altre cose, l'ampliamento della tangenziale. Da sfondo il tema “Nutrire il pianeta”, una sorta di fiera del terzomondismo con cui rendere per sei mesi la capitale morale d'Italia capitale del mondo.

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