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Milano, pacchi di sigarette “speciali” con calamita: l’ultimo stratagemma dei pusher della Comasina

Blitz della polizia alla Comasina, quartiere alla periferia Nord di Milano: in manette due italiani di 57 e 46 anni. In casa di uno dei due sono stati trovati dei pacchetti di sigarette “speciali” con calamite: servivano per nascondere le dosi di droga per strada durante i controlli delle forze dell’ordine. Ecco come funziona la piazza di spaccio nel quartiere dopo l’inchiesta che ha azzerato il precedente impero criminale, edificato anche grazie a poliziotti corrotti.
A cura di Salvatore Garzillo
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Il romanzo criminale di Comasina inizia negli anni Settanta con la banda di Renato Vallanzasca e gli scontri con il rivale Francis Turatello. Altri tempi, preistoria della mala milanese. Il quartiere alla periferia Nord di Milano ormai vive dinamiche senza alcuna suggestione romantica da noir, c’è una piazza di spaccio da portare avanti e clienti da soddisfare. A differenza di altre zone del capoluogo lombardo, in Comasina la gestione della droga è rimasta quasi sempre saldamente nelle mani degli italiani, pur utilizzando come “cavallini” in strada cittadini nordafricani e centroafricani. Non sorprende, dunque, che durante il blitz della polizia di ieri mattina siano stati arrestati due italiani di 56 e 47 anni che nascondevano oltre tre chili di hashish, quasi due chili di marijuana e 40 grammi di cocaina.

I pacchetti di sigarette speciali calamitati: lo stratagemma dei pusher

L’elemento più interessante sono i pacchetti "speciali" di sigarette, l’ultima trovata dei pusher per eludere i controlli antidroga. Sono pacchetti ricoperti da nastro adesivo nero all’interno dei quali è incollata una calamita, un sistema che consente di attaccare la confezione piena di dosi su una qualunque struttura metallica, che sia un cartello segnaletico, una ringhiera o il cerchione di un’auto in sosta. "Quando uno spacciatore si libera dalle palline che ha in tasca è facile ritrovarle, con il pacchetto diventa più complesso individuarle perché il nastro nero li mimetizza – racconta Domenico Balsamo, a capo della sezione antidroga della Squadra Mobile milanese – Quando il controllo è finito può tornare a recuperare le dosi. Inoltre lo scotch rende i pacchetti impermeabili, quindi possono restare all’esterno senza timore che si rovini la merce".

I pacchetti “speciali” sono stati trovati a casa di Gennaro S., un 56enne con un unico precedente risalente al lontano 1993. Viveva in via Vincenzo da Seregno, in una palazzina dove sono stati controllati altri 10 pregiudicati. I pacchetti erano appoggiati sul tavolo della cucina, probabilmente pronti per essere consegnati a qualche pusher che vende in zona. Nell’appartamento, che condivideva con una donna, gli agenti hanno trovato anche 9.790 euro in contanti e una lista di nomi e cognomi di potenziali clienti o debitori. Non solo, durante la perquisizione sono spuntati due mazzi di chiavi che aprono un garage e un altro appartamento nel palazzo: all’interno sono stati trovati 1,8 chili di hashish, 152 grammi marijuana, 40 grammi di cocaina, una pistola scacciacani con tre caricatori e cartucce per fucili e armi semiautomatiche. In via Masina, invece, è stato arrestato Angelo C., di 47 anni, che in casa aveva 5.500 euro in contanti e una macchina per la chiusura sottovuoto. Un dettaglio non da poco, secondo gli investigatori sarebbe la prova che l’uomo si occupa anche di confezionare panetti dal mezzo chilo in su. Anche in questo caso un mazzo di chiavi ha portato al vero tesoretto: nel suo garage, infatti, i poliziotti hanno trovato un chilo e 100 grammi di marijuana e un chilo e 600 di hashish. Alcuni panetti erano nascosti nell’intelaiatura degli infissi del box.

Red carpets: l'inchiesta che ha azzerato l'impero criminale della Comasina

I controlli di ieri sono uno strascico di "Red carpets", l’indagine che nel luglio scorso ha portato all’arresto di 23 persone, tra capi e collaboratori dell’organizzazione che dal 2013 al 2017 ha trasformato Comasina e Bruzzano in un regno che si reggeva sulle proprie regole. Una vicenda con poliziotti corrotti e comitati d’impresa criminale. Il nome dell’indagine deriva da un gioco di parole riferito al cognome di Laurence Rossi, il collaboratore di giustizia che ha fornito elementi determinanti per smontare l’organizzazione. La sua non è stata una redenzione di coscienza ma l’occasione per ottenere qualche beneficio dopo l’arresto nell’aprile 2017. Gli agenti lo trovarono nella sua villa a Seregno dopo ore di ricerca, a Platì aveva imparato l’importanza del bunker e si era fatto costruire una stanza segreta dietro la cabina armadio. Fu solo grazie a un cane molecolare arrivato da Genova che riuscirono a stanarlo.

I rapporti tra la criminalità e i poliziotti corrotti

Ai magistrati ha raccontato di aver comprato uno scooterone Gilera GP 800 da cinquemila euro al sovrintendente Roberto D’Agnano, a cui versava anche un mensile di mille euro e dosi di cocaina. D’Agnano è stato definito dal giudice per le indagini preliminari Anna Calabi "stabilmente al servizio del gruppo criminale" dando informazioni sui turni dei poliziotti, indicando le auto civetta in servizio, agevolando le pratiche di rilascio di documenti e partecipando (come accertato) a una spedizione punitiva contro l’amante della fidanzata di un membro della banda. Brindisino di 45 anni, è stato in servizio a Comasina dal 1999 al 2014, quando è stato trasferito al Reparto Mobile a seguito delle prime segnalazioni sospette sul suo conto. Aveva iniziato sulle Volanti, il primo avamposto della polizia in strada, in questo modo aveva conosciuto i marciapiedi e chi li governa, finendo col diventarne collaboratore e amico. Nell’ordinanza si legge, infatti, che si è sposato a Meda il 5 luglio 2014 "alla presenza dei testimoni Laurence Rossi e della convivente Chiara Saccomanno". Quest’ultima è la sorella di Luca Saccomanno, il socio di Rossi, con cui aveva creato la piazza di Comasina nell’ottobre 2013: Rossi portava la coca, Saccomanno hashish e marijuana. Poi, come imprenditori qualunque, nel maggio 2015 hanno venduto la piazza per 200mila euro a un gruppo di collaboratori che hanno continuato a rifornirsi in via esclusiva dai due cognati. Il passaggio è stato siglato con la consegna fisica di un cellulare che conteneva tutti i nomi dei clienti.

Dopo Red carpets la gestione dello spaccio si è frammentata

Quando Saccomanno è stato arrestato, la gestione degli affari è passata alla sorella Chiara che si occupava di pagare le spese legali dei collaboratori in carcere e di reinvestire i soldi nell’altra piazza a Bruzzano. Quest’ultima, dal 2016, è passata nelle mani di Christofer Scirocco (nipote del boss Giuseppe “Pepe” Flachi), Daniele Del Pan e Simone Pittella. Soldi ce n’erano: i gestori guadagnavano ottomila euro al mese, i semplici magazzinieri anche cinquemila. "Red carpets" è stato l’anno zero, ha resettato tutti gli assetti, frammentando inevitabilmente la gestione dello spaccio. Finirono in manette anche due imprenditori – Pasquale Velotti e Davide Giulivi – che per conto di Rossi avevano comprato due case da 170mila euro (a Seregno) e 520mila (a Bollate) per poi intestarle a una società. Si chiamava “Ilpe”, l'anagramma di "Immobiliare Laurence Pablo Escobar".

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