Milano, il consigliere Sollazzo lascia i Cinque stelle: “Così la democrazia diretta è una truffa”
Scossone all'interno del Movimento 5 stelle a Milano e in Lombardia. Il consigliere comunale di Milano Simone Sollazzo, due consiglieri di Municipio del capoluogo lombardo (Giuseppe Ventura del Municipio 1 e Cristina Russo del 6) e il consigliere comunale di Cornaredo Marco Cardillo hanno abbandonato i Cinque stelle, passando nel gruppo misto dei rispettivi consigli d'elezione. Nel comunicato con cui hanno annunciato la loro decisione accusano i vertici del M5s di aver "ignorato gli attivisti e tradito il mandato elettorale", di aver "snaturato quelli che erano i nostri principi fondativi" e di essere diventati la "stampella parlamentare delle vecchie forze politiche". Il consigliere Sollazzo a Fanpage.it ha chiarito i motivi di questa fuoriuscita.
Consigliere Sollazzo, com'è maturata questa decisione?
La riflessione era già in atto da tanto. In questo anno che abbiamo vissuto nel contrasto rispetto ai vertici del movimento si sono create delle sinergie. Non era un mal di pancia di poche persone, era un sentimento difficile da vivere da parte di tantissime persone.
Si è creata una corrente nel Movimento?
Guardi, corrente no perché non c'è niente di strutturato al di là del Movimento. C'era stata non una corrente, ma un gruppo di persone che aveva proposto un dibattito interno, la famosa Carta di Firenze. Non era un nuovo soggetto: se vogliamo chiamarla corrente è solo ai fini del sentimento condiviso. Purtroppo sono tante persone che si sentono sempre più abbandonate.
Cosa è successo nell'ultimo periodo?
Abbiamo visto il Movimento sparire anche nella gestione di questa emergenza, come vede la centralità è ormai tutta sul premier, dei nostri non abbiamo contatti. Le nomine alle partecipate statali sono state un ulteriore calcio alle nostre certezze del passato, eravamo andati al governo con l'idea di imporre il nostro gioco, usando una metafora calcistica, ma non ci siamo riusciti né con la Lega e né col Pd. Questo ha avuto delle ripercussioni anche sui territori, divisi tra chi accetta tutto e si fa andare bene qualsiasi decisione dall'alto e chi come noi ha provato a dire "è sbagliato, possiamo rivedere le cose", ed è stato messo in un angolo.
La recente espulsione del consigliere regionale del Lazio Davide Barillari ha inciso sulla vostra decisione?
Ha inciso, perché Barillari è stato un trascinatore assieme a noi. E anche noi con coerenza, visto che lui è stato allontanato, ci siamo sentiti di fare questo passo che avevamo già in mente di fare. Barillari aveva presentato una memoria difensiva di buon senso di 17 pagine per aprire un dibattito che noi avremmo sostenuto e avrebbe portato magari a una riconciliazione. Quest'opportunità purtroppo non c'è stata e ciò ha rafforzato la nostra decisione.
Nel comunicato lei descrive un Movimento "diventato il luogo dove le scelte sono elaborate da ignoti e calate dall'alto per essere solo ratificate e si deve solo lavorare e tacere", critica aspramente la piattaforma Rousseau per la scarsa trasparenza e parla di "grande truffa delle democrazia diretta". Parole forti. Il Movimento, com'è oggi, sta tradendo la sua missione originaria?
La democrazia diretta è un obiettivo da perseguire ancora: incentivare la partecipazione delle persone, guadagnare la credibilità verso la politica. Ma la democrazia diretta non si può costruire a tavolino con un esperimento scientifico con un piattaforma che si pensa risolva tutti i problemi attraverso dei quesiti posti anche in maniera molto superficiale. Rousseau è un mezzo, può essere anche utile per informarsi e dibattere, se ve ne fosse la possibilità. Ma non può essere la Bibbia che determina una linea politica. Ci sono delle situazioni da controllare bene: la veridicità sugli esiti delle votazione, i quesiti che devono essere posti in maniera più chiara e non con una domanda già canalizzata verso una determinata risposta. Credo che la democrazia diretta, per come l'abbiamo sperimentata noi, sia stata fallimentare. La tecnologia deve rimanere un mezzo: la partecipazione dobbiamo comunque sempre affrontarla fisicamente nella piazza e nel confronto diretto. La tecnologia non può sostituirsi al valore umano delle persone.
Il problema è stato quindi anche di organizzazione. Rifiutare la forma (e anche il nome) di partito ha potuto incidere su questa crisi?
La parola organizzazione non ci deve fare paura, l'importante è che non faccia sentire il peso di determinate figure preposte a dirigere e organizzare. Non devono prevaricare sugli altri, il movimento deve essere sempre dal basso verso l'alto, l'agenda politica deve essere dettata sempre dalla base che è a contatto con la cittadinanza. Chi è al di sopra, come i portavoce o facilitatori, non deve avere potere decisionale, ma appunto facilitare la "corrente" che viene dal basso. Mi rendo conto che è difficile, ma andava studiata molto bene: e invece il Movimento di fronte a delle decisioni concrete sembra proprio che abbia perseguito un programma politico opposto a quello per il quale ci eravamo presentato e abbiamo deciso di battersi nei territori.
Consigliere, uno sguardo sui possibili riflessi della sua decisione a Milano. Con la sua fuoriuscita il gruppo M5s a Palazzo Marino si riduce a due rappresentanti. Lei era uno dei più fieri oppositori all'eventualità di un'alleanza con il sindaco Beppe Sala in vista delle Comunali del 2021. Pensa che ora quest'alleanza si concretizzerà?
Io penso che il Movimento farà il suo corso indipendentemente da me. Il rischio di un'alleanza c'è sempre stato, perché il M5s rappresenta una percentuale utile ai fini elettorali. Non credo che il mio allontanamento possa dare degli scossoni ulteriori. Certo il M5s dovrà fare delle riflessioni molto serie se vuole sopravvivere ancora: non solo a livello nazionale ma sui territori. Un'alleanza di quel tipo vuol dire poi sposare in pieno un'altra bandiera: e la gente non sceglierà mai le copie, sceglierà sempre gli originali. Si tratta di una simbiosi sempre pericolosa, perché magari potrebbero esserci accordi e condizioni da rispettare per avere ancora una rappresentanza in Consiglio comunale. Questo significa non avere le mani libere e quella giusta autonomia per poter lavorare, ecco perché io ho sempre rifiutato quegli accordi.