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Milano, disperse nel Naviglio le ceneri di “Jess il bandito”: prese parte alla “rapina del secolo”

Arnaldo Gesmundo era stato uno dei protagonisti della “ligera”, la vecchia mala milanese. Aveva fatto parte della banda di 7 uomini che il 27 febbraio 1958 in via Osoppo mise a segno “la rapina del secolo” a Milano: 580 milioni in soli 3 minuti e senza sparare un colpo. È morto a 89 anni a metà aprile, ucciso da un’infezione non collegata al Covid-19. Aveva chiesto che le sue ceneri venissero disperse nel Naviglio della Martesana, vicino a dove era cresciuto.
A cura di Salvatore Garzillo
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Apollonia, moglie di Gesmundo, disperde le sue ceneri nel Naviglio. (foto Salvatore Garzillo)
Apollonia, moglie di Gesmundo, disperde le sue ceneri nel Naviglio. (foto Salvatore Garzillo)

La corrente del Naviglio della Martesana porta via le ceneri di Arnaldo Gesmundo, “Jess il bandito”, uno dei sette uomini d’oro della “banda di via Osoppo” che la mattina del 27 febbraio 1958 misero a segno quella che è stata definita la rapina del secolo. Altri tempi, altro mondo, altri banditi. Un colpo da 580 milioni di lire (in un periodo in cui la paga mensile di un operaio era di 150mila lire, come 75 euro attuali) in appena 3 minuti e senza sparare neppure un proiettile. Sono passati più di 60 anni da quella mattina, la città si è trasformata fino a diventare irriconoscibile. Forse l’ultimo briciolo di identità è rimasto aggrappato a quel corso d’acqua sopravvissuto come un reduce e a cui Jess sentiva di appartenere.

I tempi della mala della "ligera"

Era nato in via Padova 89 anni fa, quando la periferia era davvero lontana e il centro un miraggio da conquistare a qualunque costo, anche imbracciando il fucile. Aveva trascorso l’infanzia guardando quel fiume e alla fine, alla sua amata moglie Apollonia, aveva chiesto di diventarne parte, in quelle acque basse. Stamattina, poco dopo le 11.30, il suo desiderio è stato esaudito. Alla presenza di pochi amici le sue ceneri sono state disperse all’angolo tra via Padova e via Idro, da una discesa per imbarcazioni riparata da un grosso albero di gelso.

E mentre Jess se ne andava per l’ultima volta, la città continuava a muoversi indifferente, con il suono delle auto post lockdown e dei campanelli dei ciclisti della domenica insofferenti alla ciclabile affollata. A lui sarebbe importato poco, non aveva mai cercato i riflettori, apparteneva a un’altra categoria, era un uomo della “ligera”, la vecchia mala che il tempo ha coperto con un velo di fascino e, spesso ingiustamente, di nostalgia.

Gesmundo il 28 maggio avrebbe compiuto 90 anni ma è scomparso a metà aprile per le complicazioni di un'infezione in nessun modo collegata al Covid-19. Al virus non gliel’ha data questa soddisfazione. Era uomo di poche parole e ben misurate ma quando accettava il confronto non si risparmiava, sempre attento a non cedere il passo al compiacimento per un’impresa diventata punto di riferimento prima criminale e poi letterario, infine storico. A 89 anni, con gli occhiali spessi e il volto rugoso, era molto distante dall’immagine del bandito che assalta un portavalori e che si muove sul terreno scivoloso della ligera. “Ho trascorso tanti anni in carcere, anni della giovinezza che nessuno mi potrà restituire, e nessuna impresa vale quel tempo”, ripeteva ogni volta che qualcuno si azzardava a celebrare la rapina.

Gli uomini d'oro della rapina del secolo

La rapina di via Osoppo del 1958 (Archivi Farabola)
La rapina di via Osoppo del 1958 (Archivi Farabola)

Ma sapeva benissimo che tutti gli anni da uomo “normale” non avrebbero mai cancellato quei tre minuti di gloria della mattina del 27 febbraio 1958. Erano in sette, un bel mix di ex detenuti, rapinatori professionisti ed ex partigiani: Arnaldo Bolognini, Eros “playboy” Castiglioni, Enrico “il droghiere” Cesaroni, Ferdinando “Nando il terrore” Russo, Ugo Ciappina, Luciano De Maria, Arnaldo “Jess” Gesmundo. Indossavano tutti tute blu da lavoro. Avevano studiato il percorso del portavalori della Banda d’Italia e avevano scelto il giorno di paga degli stipendi per colpire. Dentro c’erano 500 milioni di lire in titoli e 115 milioni in banconote da 5 e 10mila lire. Al cambio attuale sarebbero oltre 7 milioni di euro.

Uno dei banditi sperona il furgone con un camion, un complice spacca il finestrino con un martello e riesce a disarmare la guardia all’interno, altri due caricano i sacchi dei contanti e i restanti controllano che non ci siano brutte sorprese improvvise mentre Nando il terrore sta ben attento a tenere acceso il motore dell’auto principale con cui scapperanno. "La scena si è svolta con una tale rapidità che la gente è rimasta più stupita che terrorizzata: molto, ma molto più in fretta di quelle rapine che si vedono al cinema", racconterà al Corriere della Sera un salumiere che aveva assistito. 

Il colpo di sfortuna

La rapina è quasi perfetta. A rovinare tutto è il fiume Olona, dove la banda aveva gettato tute e armi utilizzate per minacciare le guardie. Dopo alcuni giorni, infatti, proprio il tratto in questione va in secca rivelando agli investigatori il nascondiglio che cercavano come disperati. Quel colpo di fortuna consente alla polizia di risalire ai venditori dell’attrezzatura e, in breve, a tutta la banda, che sarà condannata a una ventina d’anni. "La vera forza di un uomo sta nel saper rinunciare a fare i soldi facili – dirà Gesmundo tanto tempo dopo – l’ho capito tardi, nel frattempo ho pagato tutto". Ma di una cosa andava orgoglioso, di non aver mai sparato. "Arnaldo ha scontato tutto quello che doveva ed era consapevole di aver commesso errori – ha raccontato questa mattina sua moglie Apollonia, con cui ha trascorso 48 anni – Vivevamo in simbiosi, quello che mi manca di più è la sua gentilezza. Non ha mai usato una parola fuori posto con me".

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