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Lombardia, vice presidente Sala: “Virus si è diffuso in discoteche bar, palestre. Ma non c’è studio”

“Noi in questo momento non solo abbiamo la coscienza tranquilla, ma pensiamo di aver fatto tutto il possibile e cerchiamo di fare sempre tutto il possibile”. Così diceva a Fanpage.it il vice presidente della Regione Lombardia Fabrizio Sala, intervistato lo scorso 31 marzo, quando si era ancora nel pieno dell’emergenza sanitaria legata al Coronavirus. Un’emergenza tuttora in corso e che nella sola Lombardia ha fatto oltre 14.900 morti. Eppure dalle parole di Sala non sembra esserci ombra di autocritica. “Qualcosa è andato storto? Sì, una casualità che ha infettato una comunità non in ospedali, ma in discoteche, bar, palestre”.
A cura di Francesco Loiacono
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La mancata istituzione della zona rossa a Nembro e nella Bergamasca, la chiusura ritardata delle attività produttive in Lombardia. Ma anche la certezza, derivata però da una non meglio precisata indagine, che l'epidemia di Coronavirus in Lombardia si sia diffusa non a partire dagli ospedali, ma da "discoteche, bar, palestre". Durante il documentario "Italia lockdown" per ricostruire quanto avvenuto durante la Fase 1 della pandemia di Coronavirus, lo scorso 31 marzo Fanpage.it aveva intervistato il vice presidente della giunta regionale Fabrizio Sala, per chiedergli conto di alcune delle criticità riscontrate durante la fase più acuta dell'emergenza sanitaria. Un'emergenza che a distanza di oltre due mesi dal "paziente 1", il 38enne Mattia di Codogno, non è ancora finita e al momento ha fatto oltre 14.900 morti, almeno tra quelli accertati.

Da Sala nessuna autocritica

Le risposte di Sala vanno chiaramente contestualizzate e riferite al momento in cui è stata fatta l'intervista. Ma anche a distanza di tempo, denotano la mancanza quasi totale di autocritica da parte dei politici alla guida della regione più colpita d'Italia dal virus, e anche una certa confusione su cosa sia avvenuto, come ad esempio emerge dalla risposta sulle discoteche, sui bar e sulle palestre individuati come principali centri di diffusione del contagio, senza però apparentemente uno studio a supporto di tali dichiarazioni. Riproponiamo l'intervista in una versione più estesa rispetto a quanto inserito nel documentario "Italia lockdown", in quanto a nostro parere indicativa della mancanza di una strategia chiara da parte della regione nella gestione dell'emergenza sanitaria.

Vice presidente Sala, Regione Lombardia quando ha detto alle fabbriche di chiudere e non mandare più operai in fabbrica, se non essenziali?

Noi non l'abbiamo mai detto. Abbiamo portato tutti i dati sanitari e abbiamo spiegato che nel mondo, l'unica arma che esisteva per combattere l'epidemia era isolamento sociale, e abbiamo chiesto a loro quali potevano essere le attività che potevano essere chiuse.

Quindi la Regione ha chiesto agli imprenditori di scegliere?

No. Abbiamo chiesto a loro come era possibile affrontare questa emergenza e quindi, insieme, valutare cosa chiudere.

Ma cosa si aspettava che dicessero gli imprenditori, di chiudere?

Sì, è quello che ci hanno detto: chiudiamo.

Però non hanno chiuso.

Sì che hanno chiuso.

Ma in provincia di Brescia e Bergamo gli operai sono andati a lavorare.

Non abbiamo questo tasso così alto di operai andati a lavorare.

Vero o no che Confindustria nei giorni in cui si parlava di chiudere la valle di Nembro e Alzano ha fatto delle pressioni chiedendo che non venisse chiusa la valle?

Confindustria ha chiesto di poter operare con tutti i dispositivi necessari, e noi abbiamo spiegato che il problema era come la gente poi si recava al lavoro. Se si fosse recata al lavoro con la propria auto da soli, con dispositivi necessari, per un'attività essenziale, a nostro avviso lo poteva fare.

Perché non è stata creata la zona rossa a Nembro?

Non glielo posso dire io, lo dovete chiedere al governo, il potere ce l'aveva il governo, non certo noi perché l'avevamo chiesta.

Quando l'avete chiesto?

Non mi ricordo la data. Far polemica è sbagliato quando c'è un'epidemia.

Ci sono stati ritardi e questa zona non è stata fatta. Al contempo le imprese continuano a rimanere aperte a Nembro e in tutta la provincia di Bergamo.

È ovvio che le imprese rimangano aperte: io non ho l'autorità per chiudere le imprese. Abbiamo spiegato qual era la situazione e alcune associazioni hanno inviato ai loro associati delle info per chiedere di chiudere: molti di questi hanno chiuso.

Molti ma non abbastanza: c'è stata troppa gente in giro nelle provincia di Bergamo.

In tutta la Lombardia c'era troppa gente in giro.

Ma la gente è morta più a Bergamo che nel resto della regione.

Ci auguriamo che non muoia nel resto della Lombardia. Ma non è che perché lavorano di più a Bergamo rispetto a Mantova che il virus si è espanso più a Bergamo che a Mantova.

Secondo lei si è arrivati tardi alla chiusura delle imprese e di tutto il sistema produttivo in Lombardia, oppure è stato fatto tutto in maniera tempestiva, limitando al massimo il rischio sanitario?

Si poteva arrivare molto prima, non c'è il minimo dubbio, ma si poteva arrivare molto prima perché noi non avevamo l'autonomia, altrimenti avremmo fatto noi.

Vi ritrovate ad essere responsabili politici mentre ogni giorno si consuma una strage. State facendo tutto il possibile?

Sta scherzando? Stiamo facendo il possibile, sì, più del possibile, noi insieme a tutti i sanitari. Alla fine di questa epidemia vedremo tutto ciò che si poteva fare di più, o di meno, però sempre col senno di poi. Noi in questo momento non solo abbiamo la coscienza tranquilla, ma con le nostre fatiche pensiamo di aver fatto tutto il possibile e cerchiamo di fare sempre tutto il possibile.

Qualcosa è andato storto, però.

Sì, una casualità che ha infettato una comunità. Non avvenuta in un ospedale, ma nei primi luoghi che abbiamo chiuso: discoteche, bar, palestre.

C'è uno studio su questo?

C'è un'indagine dell'Ats. Lo spread così alto capitato a Codogno dalle nostre indagini deriva da una discoteca, da alcuni bar, da palestre. E infatti sono i luoghi che i nostri medici, clinici e scienziati ci hanno consigliato di chiudere. Ma non c'è uno studio.

(Intervista a cura di Carla Falzone)

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