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Inchiesta Expo, la procura generale: “Condannare Maroni a 30 mesi”

La procura generale di Milano ha chiesto la condanna a due anni e sei mesi di carcere per Roberto Maroni, imputato in appello per la vicenda delle presunte pressioni per fare ottenere a due sue ex collaboratrici un incarico presso un ente di ricerca della Regione e un posto in un viaggio istituzionale a Tokyo in vista dell’Expo 2015. L’ex governatore lombardo si è difeso rendendo dichiarazioni spontanee in aula: “Non ho mai imposto nulla a nessuno”
A cura di Redazione Milano
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La procura generale di Milano ha chiesto di condannare l'ex governatore lombardo Roberto Maroni a due anni e sei mesi in appello per la vicenda delle presunte pressioni esercitate per fare ottenere incarichi e un posto in una missione per Expo a due sue ex collaboratrici dei tempi del Viminale. La sentenza è attesa per l'8 novembre.

Inchiesta Expo, in appello la procura generale chiede 30 mesi di carcere per Maroni

Il procuratore generale di Milano, Vincenzo Calia, in sede di requisitoria ha chiesto di condannare Maroni a due anni e sei mesi – stessa richiesta che era pervenuta in primo grado – per i reati di induzione indebita e turbata libertà di scelta del contraente. Nel caso dell'incarico affidato a un'ex collaboratrice di Maroni all'interno di Eupolis, ente di ricerca della Regione Lombardia, il pg ha sottolineato come tale incarico fosse "confezionato ad hoc sul curriculum" di Mara Carluccio, determinando "un danno" per la pubblica amministrazione.

La difesa dell'ex governatore: Mai imposto nulla a nessuno

L'ex governatore leghista, il cui annuncio di ritiro dalla politica attiva nel gennaio 2018 fece scalpore, si è difeso in aula rendendo dichiarazioni spontanee nelle quali aveva riferito di non aver mai "preteso e imposto nulla a nessuno" nella sua lunga attività politica.

La vicenda e la condanna in primo grado

La vicenda per cui Maroni è imputato in appello risale al periodo precedente all'Expo 2015. Maroni era stato rinviato a giudizio nel luglio del 2015 con l'accusa di aver fatto pressioni per favorire due sue ex collaboratrici conosciute quando era ministro dell'Interno: Maria Grazia Paturzo (non indagata) e Mara Carluccio (imputata con lui e condannata in primo grado a sei mesi). A giugno del 2018 Roberto Maroni era stato condannato a un anno di carcere ed a 450 euro di multa, con pena sospesa, per il solo reato di "turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente", relativo alle presunte pressioni esercitate per fare ottenere alla sua ex collaboratrice Carluccio un incarico presso Eupolis, ente di ricerca della Regione. Maroni era stato invece assolto dall'altro capo di imputazione, l'induzione indebita, vicenda che riguardava l'altra sua ex collaboratrice dei tempi del Viminale, la Paturzo.

Stando alle accuse, Maroni in quel caso avrebbe esercitato delle pressioni per far partecipare la donna – alla quale secondo i pm era sentimentalmente negato, ma lei aveva smentito – a una missione istituzionale della Regione a Tokyo in vista dell'Expo 2015. Missione alla quale però alla fine non parteciparono né Maroni né la sua ex collaboratrice. Maroni dopo la sentenza in primo grado aveva fatto sapere di voler fare ricorso in appello per essere scagionato da tutte le accuse.

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