Il papà di Claudia, morta mentre era incinta di due gemelle: “Nessuno ha mosso un dito”
Il papà di Claudia Bordoni, la 37enne morta giovedì alla clinica Mangiagalli di Milano mentre era alla venticinquesima settimana di gravidanza, ha affidato alle colonne dei quotidiani il dolore e la rabbia per la perdita della figlia e delle nipoti. Claudia, infatti, era in attesa di due gemelle: nemmeno loro sono sopravvissute alla grave emorragia che – ma sarà la magistratura ad accertarlo – ha posto fine alle loro vite.
Il papà di Claudia: "In Africa non sarebbe successo"
"Mia figlia se n'è andata tra dolori lancinanti, che accusava da giorni, e nessuno ha mosso un dito", è la prima pesante accusa che Giuliano Bordoni, originario di Grosio, in provincia di Sondrio e con un passato di macellatore, muove contro i medici che hanno visitato la figlia. Non in uno, ma addirittura in tre diversi ospedali: quello di Busto Arsizio, in provincia di Varese, e le due strutture San Raffaele e Mangiagalli a Milano: "Siamo sconvolti – dice l'uomo ai cronisti di Repubblica e Corriere -, forse una cosa del genere non sarebbe successa neanche in Africa, e invece accade in Italia, in strutture considerate di prim'ordine".
La magistratura indaga per omicidio colposo
Sul caso indaga la magistratura, che ha aperto un fascicolo per omicidio colposo. Il sostituto procuratore Maura Ripamonti ha sequestrato i referti del pronto soccorso del San Raffaele, della clinica Mangiagalli e dell'ospedale di Busto Arsizio. Strutture visitate dalla donna sia nei mesi scorsi, per sottoporsi alla pratica della fecondazione assistita, sia nei giorni immediatamente antecedenti alla tragedia. Il 24 aprile Claudia si era recata al San Raffaele, da dove però – secondo la clinica – è stata dimessa in assenza di patologie. Il giorno successivo, lunedì 25 aprile, la 37enne si sarebbe invece recata alla clinica Mangiagalli, dove è ritornata nella notte tra il 26 e il 27 aprile con dolori lancinanti.
Secondo quanto riferito dagli avvocati Antonio Sala Della Cuna e Antonio Bana, nominati dalla famiglia di Claudia, l'inchiesta deve partire da un punto certo: "Claudia è morta a letto in una camera di ospedale, ha patito dolori lancinanti che l’hanno perseguitata per giorni, e per i quali ha chiesto aiuto". Quando si è recata in ospedale per l'ultimo ricovero, la 37enne per la gravità del dolore ha dovuto chiamare l’ambulanza: "La schiena le faceva talmente male che non riuscivano nemmeno a farla salire e sedere in macchina", ha specificato uno dei legali. Il compagno della donna, Roberto Dal Zuffo, biologo all’Istituto europeo di oncologia di Milano, dopo la notizia della tragedia ha subito un forte choc ed è dovuto ricorrere alle cure mediche.
L'autopsia sarà eseguita in settimana
Sarà l'autopsia a chiarire le circostanze della morte di Claudia: potrebbe essere eseguita entro metà settimana. Intanto, comunque, da Palazzo di giustizia invitano alla prudenza: la rabbia dei familiari della donna è legittima, ma in assenza di dettagli non è giusto nemmeno addossare le responsabilità su medici e infermieri della Mangiagalli – la cui direzione ha già assicurato massima disponibilità – che dovrebbero infatti essere iscritti nel registro degli indagati solo come atto dovuto a loro garanzia.
Il papà di Claudia: "L'hanno minacciata, si agitava troppo"
Il genitore della 37enne, però, non lesina critiche allo staff che ha preso in cura sua figlia. Al momento del ricovero assieme a Claudia c'era sua madre, e secondo Giuliano Bordoni sua figlia sarebbe stata addirittura "minacciata da qualcuno del personale: le hanno detto che era troppo agitata, che aveva crisi di panico e che non avrebbero più fatto entrare la madre, altrimenti si sarebbe agitata ancora di più. Io ho sempre fatto il macellatore, so cos'è la morte. Mia figlia stava morendo. E non hanno fatto niente". Il padre di Claudia poi aggiunge: "Mia moglie continuava a chiamarli, loro dicevano che andava tutto bene, che mia figlia si lamentava inutilmente".
Il ministero e la Regione inviano gli ispettori
Mentre la magistratura porterà avanti la propria inchiesta, anche il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha intenzione di vederci chiaro sulla vicenda. Lorenzin ha deciso infatti di inviare gli ispettori negli ospedali che si sono occupate della vicenda: una decisione simile è stata presa anche dalla Regione Lombardia, che ha attivato una propria task force sottolineando come, dalle prime informazioni raccolte, non ci sarebbe comunque "alcun elemento collegabile a negligenze".