I genitori di Andrea, morto precipitando dal centro commerciale: “Vogliamo i colpevoli”. Aperta un’inchiesta
La morte del loro figlio adolescente non è stata una fatalità, né la conseguenza di una bravata estrema. Ne sono convinti i genitori di Andrea Barone, il ragazzino di 15 anni morto sabato notte dopo essere precipitato dal tetto del centro commerciale Sarca a Sesto San Giovanni, a nord di Milano. Andrea è morto dopo essere caduto in un condotto di areazione, la cui apertura non era coperta da alcuna grata. Era salito sul tetto assieme ad altri cinque amici. All'inizio, anche sulla base del racconto dei compagni (e di alcune foto pubblicate in precedenza da Andrea sui social network) si era pensato che i ragazzi volessero compiere una bravata, magari per scattarsi dei selfie in cima al tetto dello shopping center. Ma gli amici di Andrea avrebbero in seguito fornito un'altra versione e anche il padre del ragazzo ha escluso che suo figlio si sia arrampicato sul tetto per scattarsi una foto: "I selfie non c’entrano, non sono saliti per dei selfie – aveva detto al "Corriere della sera" – Al Carroponte, l’area eventi posizionata proprio di fronte al centro commerciale, c’era una festa con musica e volevano scattare delle foto. Dal tetto del centro commerciale la visuale è buona. Non dovevano farlo, ma nessuno glielo ha impedito".
La procura indaga per omicidio colposo
Per chiarire cosa sia effettivamente avvenuto sul tetto del centro commerciale e anche prima, la procura di Monza ha aperto un'inchiesta per omicidio colposo a carico di ignoti. Si cercherà di capire sia perché non vi fossero segnali di pericolo vicino alla condotta di areazione né una grata per evitare di precipitarvi, e soprattutto se vi siano state mancanze da parte del centro commerciale per quanto riguarda la sicurezza degli accessi al tetto. Perché nessun vigilante ha bloccato i ragazzi? E ancora: era necessaria la presenza degli addetti alla sicurezza, che, a differenza della notte in cui è avvenuta la tragedia, nei giorni successivi sono apparsi vicino alle scale che conducono al tetto per impedire l'accesso (tentato, per via dell'effetto emulazione) di altri giovanissimi?
Sono domande che probabilmente troveranno risposta solo in un'aula di tribunale, ma che di certo non riporteranno in vita Andrea. Ma potranno forse dare qualche sollievo a un padre che, dal giorno in cui è avvenuta la tragedia, si batte contro l'immagine distorta del figlio che sta venendo fuori sui mezzi di informazione, che a loro volta però partono da un fatto incontrovertibile: l'adolescente si trovava in un luogo dove non avrebbe potuto andare. Ma da qui a dire che "se l'è cercata", come qualcuno sostiene sui social network, passa naturalmente una bella differenza: "Voglio verità e giustizia per mio figlio. Non era un amante dello sport estremo, a 15 anni era già un uomo", ha ripetuto in questi giorni il padre, sottolineando come Andrea, residente a Cusano Milanino, tra le altre cose fosse stato scelto come capitano della sua squadra di calcio, il Bresso, a testimonianza della sua maturità: forse solo l'estremo e comprensibile tentativo di un padre di difendere l'immagine di un figlio che non c'è più.