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Donna morta di parto a Milano, imputazione coatta per medico e ostetrica del San Pio X

Imputazione coatta per il medico e l’ostetrica della clinica privata San Pio X di Milano che la sera del 17 ottobre 2015 visitarono una donna all’ottavo mese di gravidanza, in preda a dolori addominali, e poi la dimisero. La donna, una 40enne, nove ore dopo le dimissioni fu ricoverata d’urgenza all’ospedale Niguarda, dove morì assieme al feto che portava in grembo. Archiviata la posizione di altri tre medici indagati per omicidio colposo.
A cura di Francesco Loiacono
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Andranno a processo un medico e un'ostetrica della clinica privata San Pio X di Milano, accusati di aver avuto un ruolo nella morte di K.S., una donna di 40 anni deceduta nell'ottobre del 2015 nove ore dopo essere stata dimessa proprio dalla struttura privata che si trova nei pressi di viale Zara. La 40enne, all'ottavo mese di gravidanza, si era recata nella clinica privata in seguito a dolori addominali, provocati come è stato appurato successivamente dalla rottura dell'utero. Nella clinica era stata visitata – secondo la struttura con la massima scrupolosità – e poi dimessa. Ma nove ore dopo il ritorno a casa i dolori accusati dalla 40enne erano peggiorati: era stata trasportata d'urgenza all'ospedale Niguarda dove però sia lei sia il feto che portava in grembo erano morti per un'emorragia.

Archiviata la posizione di altri tre medici indagati

Il giudice per le indagini preliminari Laura Marchiondelli ha disposto l'imputazione coatta per il medico della San Pio X che era di guardia la sera del 17 ottobre e per un'ostetrica che l'aveva assistito: secondo il giudice le dimissioni della donna furono "improvvide" e avvennero in presenza di "un quadro clinico che avrebbe dovuto indurre i sanitari a trattenere quantomeno in osservazione la paziente, condotta che avrebbe consentito loro di intervenire tempestivamente e adeguatamente per contrastare la rottura dell'utero in corso, evitando in tal modo la morte della donna e del suo bambino". Adesso il pubblico ministero Maura Ripamonti, che aveva chiesto l'archiviazione per i due indagati, avrà dieci giorni per formulare la richiesta di processo. L'archiviazione è stata invece accolta per quanto riguarda gli altri tre medici che erano indagati per omicidio colposo: si tratta di un medico di famiglia e di due dottori dell'ospedale Niguarda, che cercarono di salvare la 40enne praticandole un parto cesareo d'emergenza e altre manovre.

La condotta dei due medici fu gravemente imperita e imprudente

La condotta dei due medici per cui è stata chiesta l'imputazione coatta viene qualificata dal gip come "gravemente imperita e imprudente": la rottura dell'utero, secondo il giudice, era già "evidentemente" dal momento che la donna lamentava il persistere di forti dolori addominali e presentava colorito cianotico e sudorazione: "I presupposti di fatto in relazione ai quali i consulenti del pubblico ministero hanno escluso qualsivoglia profilo di responsabilità medica in capo ai due indagati appaiono errati", ha affermato il gip rigettando la richiesta di archiviazione. A differenza di quanto dichiarato dai famigliari della donna sul persistere del dolore, il medico indagato aveva riferito agli inquirenti che la donna "aveva riferito un netto miglioramento della sintomatologia" e per questo e anche perché gli esami strumentali non avevano rilevato anomalie, si era deciso di dimetterla. Nella vicenda c'è anche il giallo di un'ecografia che secondo i medici avrebbe confermato le buone condizioni del feto, ma che venne cancellata da ignoti: una vicenda per cui il pm ha chiesto l'archiviazione, dal momento che non si può risalire a chi cancellò l'esame. Secondo il giudice "l'esame ecografico non può certamente essere considerato un elemento a discapito del medico indagato. Al contrario, la volontaria soppressione del tracciato ecografico è un elemento fortemente indiziario del fatto che un più attento esame dell'ecografia avrebbe potuto diagnosticare tempestivamente la rottura dell'utero in corso".

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