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Delitto Lidia Macchi, il supertestimone: “Un mio cliente ha scritto la lettera, non Binda”

Colpo di scena in aula questa mattina durante il processo di secondo grado a Stefano Binda, 51enne condannato all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi uccisa nel gennaio del 1987, dopo essere stata violentata. L’avvocato Piergiorgio Vittorini ha infatti riferito di conoscere il presunto autore della lettera, un suo cliente, che gli avrebbe confessato tutto nel febbraio del 2017.
A cura di Chiara Ammendola
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Secondo l'avvocato Piergiorgio Vittorini, l'autore della lettera "In morte di un'amica" inviata ai genitori di Lidia Macchi poco dopo il delitto della figlia avvenuto in provincia di Varese nel 1987 sarebbe un suo cliente: la confessione gli sarebbe stata fatta dallo stesso uomo nel febbraio 2017. La testimonianza del legale è arrivata questa mattina in aula nell'ambito del processo di secondo grado a carico di Stefano Binda, condannato all'ergastolo per l'omicidio di Lidia. "Il segreto mi sta lacerando l'anima, ho una famiglia, ho dei figli. Ho scritto io la lettera inviata alla famiglia di Lidia Macchi", avrebbe raccontato al legale il presunto autore del testo il cui nome però Vittorini non ha voluto rivelare, avvalendosi del segreto professionale. Secondo quanto raccontato dall'avvocato penalista l'uomo si sarebbe presentato nel suo studio alla fine del mese di febbraio di due anni fa raccontando di aver scritto quella lettera come forma di protesta per una morte ingiusta e così di averla inviata alla famiglia della giovane ragazza uccisa.

Lidia Macchi uccisa nel 1987 con 29 coltellate dopo essere stata violentata

Si tratta di una testimonianza importantissima che potrebbe mettere in discussione la posizione di Stefano Binda, condannato in primo grado all'ergastolo per omicidio volontario aggravato dalla violenza sessuale: per gli inquirenti non c'è mai stato alcun dubbio, l'autore del barbaro assassinio della giovanissima Lidia Macchi uccisa con 29 coltellate dopo essere stata violentata in un bosco di Cittiglio, in provincia di Varese, è Stefano Binda. E sempre lui, secondo i giudici che lo hanno condannato il primo grado, è l'autore della celebre lettera "In morte di un'amica" arrivata a casa Macchi assieme a una poesia il giorno del funerale della ragazza. Ora però questo colpo di scena potrebbe dare una svolta al processo di secondo grado, qualora fosse appurata l'effettiva paternità della missiva, visto che proprio quel testo è stato uno dei perni dell'accusa nei confronti di Binda, arrestato nel gennaio del 2016, quasi 30 anni dopo l'omicidio, che finora si è sempre proclamato innocente.

Il presunto autore della lettera: non ho un alibi per la sera del delitto di Lidia

L'avvocato Vittorini nella testimonianza resa in aula questa mattina ha riferito che il presunto cliente che ha bussato al suo studio nel 2017 avrebbe raccontato di non conoscere la vittima personalmente ma di condividere con lei lo stesso contesto di Comunione e Liberazione a Varese. Inoltre avrebbe poi aggiunto di non essere mai andato dalla polizia a raccontare di essere l'autore della missiva perché aveva paura che potessero accusarlo del delitto di Lidia, visto che non era in grado di fornire un'alibi per la sera dell'omicidio: "In quel periodo ero  a Milano – avrebbe riferito all'avvocato – ma non riesco proprio a ricordare dove fossi la sera del delitto". Anche Binda durante le fasi del processo ha sempre raccontato di non trovarsi a Varese il giorno del delitto di Lidia ma di essere in vacanza con altri appartenenti a Comunione e liberazione a Pragelato, in Piemonte.

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