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Da medico a malato: il racconto del primo dottore di Milano contagiato dal Coronavirus

Il viaggio in aereo vicino a un passeggero infetto, i primi sintomi durante un convegno di esperti, poi il ritorno a Milano, il ricovero e le settimane di paura. Il professor Angelo Marzano è il primo medico contagiato dal Covid-19 e racconta l’esperienza da malato con gli occhi di un tecnico. Ora sta bene, è stato dimesso ma gli aspettano ancora due settimane di isolamento.
A cura di Salvatore Garzillo
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Ha le guance coperte da uno strato di barba di qualche settimana e per lui, abituato a radersi ogni giorno, è diventato il simbolo della sua battaglia contro il Coronavirus. Ci vuole ancora del tempo ma il peggio è passato e stavolta a dirlo non è un paziente qualunque ma un medico, il professor Angelo Marzano, 57 anni, dermatologo del Policlinico e docente all’Università di Milano. Il primo dottore di Milano ad aver contratto il Coronavirus, il primo ad aver rotto i “criteri epidemiologici” perché fino al suo ricovero tutti i malati erano stati in Cina o avevano avuto rapporti con persone provenienti dall’Asia.

"Ora sto bene, non ho la febbre da una settimana, c’è stata una riduzione della tosse, non ho più il cerchio alla testa che mi impediva di lavorare. Sono stato dimesso dall’ospedale Sacco lo scorso 9 marzo dopo aver avuto un tampone negativo ma da protocollo deve restare in isolamento per altre due settimane”.
Da dottore a paziente, un ruolo inedito per lui ma che ritiene importante, un’occasione di crescita umana e professionale. “L’essere un medico ti aiuta a capire meglio cosa ti sta accadendo. Ho capito a cosa era dovuta la iperproduzione di citochine, cioè di molecole infiammatorie, che aveva rialzato la febbre il quinto giorno, ma può essere anche negativo perché capisci che può andare male davvero. Questa esperienza mi ha insegnato a essere ancor più partecipe alle dinamiche del paziente, quindi a cercare di capirli meglio”.

Tra due settimane un nuovo tampone

Il professor Marzano parla da casa attraverso WhatsApp, non può avere rapporti con nessuno per altre due settimane. Sente figli e compagna al telefono e sta iniziando a lavorare a distanza. Deve aspettare, non può fare altro. Questa emergenza ha mostrato a tutti che c’è un prima e un dopo. È difficile, se non impossibile, risalire al momento del contagio e questa vale anche per un attento osservatore come il professor Marzano.
“Potrebbe essere avvenuto durante uno dei miei viaggi di lavoro degli ultimi mesi in Grecia e in Germania. È possibile che sia accaduto nel volo di andata da Milano a Monaco il 19 febbraio perché, come ho saputo da una email inviatami da Lufthansa, due file davanti alla mia c’era una persona infetta. Ma potrei essere stato contagiato da un paziente durante la mia attività clinica. In ogni caso, a questo punto, non credo abbia senso pensarci troppo”.

La cronologia della malattia

Però ricorda bene la cronologia della malattia e mette in fila i giorni del suo inferno personale. “È iniziato tutto con i classici brividi da sintomo febbrile la notte del 19 febbraio. Ero a Monaco per un convegno di esperti. Non stavo benissimo ma neppure così male da non riuscire a rientrare a Milano. La mattina del 20 ho preso l’aereo e la sera si sono manifestati i primi veri sintomi con tosse e febbre. La mattina del 22, era un sabato, avevo 39”.
A quel punto si è confrontato con un collega del Sacco, il dottor Mario Corbellino, col quale hanno concordato sul fatto che potesse essere un soggetto a rischio contagio. “Tenga presente che fino a quel momento gli unici malati erano state persone di ritorno dalla Cina o concentrate nella zona rossa di Codogno. Ho il triste primato di aver rotto i criteri epidemiologici”.

Un triste primato

Marzano avrebbe volentieri fatto a meno di questo titolo, soprattutto ripensando ai momenti in cui ha temuto davvero per la sua vita: “Ce ne sono stati tre. Quando ho scoperto di essere positivo, quando mi è salita di nuovo la febbre il quinto giorno e il 14 marzo, quando sembrava quasi fatta. La febbre continua a essere alta e ho avuto un interessamento polmonare per fortuna modesto, non ho mai avuto bisogno dell’ossigeno”. Un dettaglio importante perché la sua età – 57 anni – rientra nello spettro dei pazienti altamente a rischio. “Ho ancora problemi con il gusto e l’olfatto. È una cosa molto caratteristica di questa malattia, nel mio caso ho una riduzione del 50 per cento della percezione di odori e sapori. Ma passerà, è solo questione di tempo. O almeno lo spero, perché sono una buona forchetta”.

Il professore è quasi fuori dal tunnel ma c’è un Paese intero schiacciato dalla paura che non riesce a capire cosa accadrà domani. “Noi avremo ancora un periodo difficile ma voglio lanciare un messaggio positivo. Sono sicuro che ce la faremo, sono un ottimista di natura e quindi credo che alla lunga ne usciremo”.

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