228 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito
Covid 19

Coronavirus, l’infettivologo Puoti: “Alta letalità per sottostima dei casi e più anziani malati”

Sottostima dei casi, maggior numero di persone anziane e con più patologie che però avevano una vita sociale rilevante e quindi sono state esposte al contagio e anche criteri diversi di classificazione dei decessi. Queste le spiegazioni dell’infettivologo dell’ospedale Niguarda di Milano, professor Massimo Puoti, all’elevato tasso di letalità del coronavirus in Lombardia. Ma c’è anche un altro fattore: “La concentrazione di molti casi in unità di tempo può aver determinato un’assistenza non ottimale, davanti a uno tzunami come quello lombardo non c’è sistema sanitario che regga”.
Intervista al Dott. Massimo Puoti
Infettivologo, direttore della Struttura complessa di Malattie infettive dell’ospedale Niguarda di Milano
A cura di Francesco Loiacono
228 CONDIVISIONI
Immagine
Attiva le notifiche per ricevere gli aggiornamenti su

In Lombardia il Coronavirus ha causato 28761 contagi e 3776 morti. L'elevato tasso di letalità, più alto di quello delle altre regioni italiane e di altri Paesi come la Cina (dove il dato è del 3,8 per cento), è un'anomalia di cui gli esperti stanno discutendo da giorni. Fanpage.it ha affrontato questo e altri temi legati all'emergenza in corso con il professor Massimo Puoti, infettivologo e direttore della Struttura complessa di Malattie infettive dell’ospedale Niguarda di Milano.

Professore, partiamo da un dato: l'alto tasso di letalità da Covid-19 in Lombardia. Lei che spiegazione si è data?

Ci sono tre possibili spiegazioni: la prima e la più cogente è che noi vediamo solo una piccola parte di casi incidenti sul territorio.

Quindi c'è una sottostima dei casi?

C'è un'enorme sottostima. Se noi avessimo la stessa mortalità della Cina, i nostri morti sarebbero il 3 per cento dei casi totali, se non, considerando che abbiamo scoperto che c'è un'enorme quantità di casi asintomatici, una percentuale ancora più bassa, forse anche inferiore all'1 per cento sul totale degli infetti. Quindi per capire il numero dei casi totali, ammettendo che abbiamo la stessa mortalità della Cina, dobbiamo ammettere che il numero dei morti ci dà il numero dei casi moltiplicandolo per un fattore che va da 30 a 100.

Quindi quanti potrebbero essere i casi reali?

Il numero dei casi è almeno tre volte più alto. Ma la mortalità cinese può essere anche quella dovuta a stime sbagliata, forse la mortalità vera è quella che vediamo dove hanno fatto i tamponi a tutti, per esempio in Corea. Quindi se andiamo a vedere la mortalità coreana che credo sia attorno all'1 per cento, se non più bassa, vuol dire che noi prendiamo il numero dei morti, lo moltiplichiamo per 100 e abbiamo il numero dei casi totali. La politica di esecuzione dei tamponi anche in Italia non è omogenea. Questo è sicuramente un dato sul quale possiamo riflettere, quindi anche i dati italiani sono eterogenei da una regione all'altra. A Vo' Euganeo hanno visto benissimo la dinamica dell'epidemia, ma questo non è stato possibile farlo soprattutto in quelle regioni come la Lombardia dove il numero dei pazienti era talmente alto che non si è riusciti a fare il contact tracing, cioè a rintracciare chi era infetto e chi no.

Quale potrebbe essere un'altra spiegazione per l'elevata letalità?

In Italia la popolazione con più di 65 anni è il doppio di quella cinese. Mentre in Cina è l'11 per cento della popolazione in Lombrdia è il 23 per cento. In più secondo me la popolazione di età più avanzata ha un numero di patologie concomitanti più alto dei pari età cinesi. Cioè l'80enne italiano presumibilmente ha un numero di patologie concomitanti – pressione alta, il cuore, il diabete – più alto dell'80enne cinese. E la mortalità è tanto più alta quanto più una persona, oltre a una certa età avanzata, ha più patologie. Questo è l'effetto collaterale di un buon sistema sanitario che riesce a curare chi ha più patologie croniche, lo tiene in vita e lo riesce a curare in una maniera migliore rispetto ad altri sistema.

Un effetto paradossale di una buona sanità?

Esatto, inoltre stiamo parlando di persone che nonostante il fatto che avessero due o più patologie avevano una vita sociale che permetteva loro i contatti con l'esterno: andavano a giocare a carte nel circolino, alla bocciofila, dai nipotini. Non è che stavano inchiodati al letto.

E quindi sono stati esposti al contagio.

Esatto, facevano una vita normale, anche con le patologie. Questo è il dramma enorme per le famiglie, che si vedono portar via non dei malati terminali, come in alcuni casi succede, ma delle persone che avevano una vita e sociale di un grande rilievo.

C'è un'altra spiegazione per l'alto numero di morti in Lombardia a causa del Coronavirus?

In Italia vengono conteggiate tutte le morti con il Coronavirus. Se muore un paziente oncologico terminale, che magari sarebbe morto un mese o due mesi dopo per via della sua malattia, e noi scopriamo che ha il coronavirus, viene classificato in Italia come morto con coronavirus. In altri Paesi la morte viene attribuita alla patologia di fondo.

Non ci sono criteri uniformi?

Non esiste un criterio uniforme né di rilevazione dei casi – ma questo addirittura in Italia, dove è abbastanza eterogeneo – né un sistema di codifica delle morti, perché esiste una mortalità che è attribuibile al coronavirus e una mortalità che invece è indipendente dal coronavirus e in cui il virus arriva come ultima goccia che fa traboccare un vaso che era già pieno, e queste ovviamente non vengono conteggiate in altri Paesi, ma in Italia sì. Ovviamente in più c'è un altro fattore, che è il motivo per cui bisogna stare a casa…

Quale?

Quando arriva un'ondata che è uno tzunami su un sistema sanitario che poteva essere in equilibrio, questo fa sì che le risorse per gestire al meglio i pazienti vengono a cadere, nel senso i famosi posti di terapia intensiva. Del resto la mortalità che si registrava a Wuhan è più alta di quella dell'intera provincia dell'Hubei e delle altre zone della Cina, questo perché loro avevano lo tzunami in città, ma fuori l'ondata era più bassa. Se io ho una concentrazione enorme di casi in un unità di tempo scarsa non c'è sistema sanitario che tenga: se io l'ondata la diluisco nel tempo il sistema sanitario riesce a far fronte. Le faccio un esempio: un paziente che ha una malattia e deve essere intubato e portato in terapia intensiva deve starci in genere 10-18 giorni. Se io saturo tutte le terapie intensive e continuano ad arrivare 20-30 pazienti al giorno io non riesco a dare un'assistenza ottimale. Se invece me ne arrivano 40 in 15-10 giorni io riesco piano piano a gestire al meglio tutti i pazienti.

Quindi una parte dell'alta letalità è dovuta anche alla saturazione del sistema sanitario lombardo?

La concentrazione di casi in unità di tempo può aver determinato un'assistenza non ottimale, come invece nei posti in cui la concentrazione dei casi non è stata altrettanto intensa.

Questo è un tema molto delicato: c'è stato quindi un momento in cui nelle strutture più critiche non si è riuscito a curare tutti i pazienti che ne avevano bisogno?

Posso dire che qui (al Niguarda, ndr) non c'è stato. Non ho idea di cosa sia successo nelle altre strutture che hanno avuto lo tzunami. C'è però un'altra cosa che spesso non viene detta ma che è molto realistica: se io ho una persona con 4-5 patologie che magari stava anche a casa sua e arriva in ospedale grave e lo intubo, muore perché lo intubo, forse se la cava meglio se non lo intubo. Quindi le decisioni dei rianimatori non sono fatte cinicamente sul numero di anni di vita salvata, ma spesso le indicazioni a non intubare una persona sono perché tu sai che intubandolo fai più male che bene. C'è sempre un po' il timore a sottoporre a una procedura di ventilazione invasiva un paziente che è molto fragile.

Un altro fattore che potrebbe aver favorito l'aumento esponenziale dei casi può essere stato l'effetto amplificatore di alcuni ospedali che magari si sono trovati a gestire dei casi quando non c'erano procedure né allerte sulla presenza del virus?

È un'ipotesi molto logica, ma bisognerà dimostrarla con i numeri. Quando dopo l'epidemia si faranno i conti e si analizzerà ciò che è successo si capirà anche questo aspetto, ma è un'ipotesi assolutamente plausibile. Con calma, quando avremo superato l'ondata, sarà doveroso fare un'analisi per capire cosa si poteva fare per non farla succedere e cosa non fare in futuro se dovesse presentarsi una situazione del genere. Dobbiamo usare questa situazione per crescere, migliorare e imparare.

L'alta percentuale dei medici contagiati da Coronavirus, da infettivologo, l'ha vista anche in altre malattie?

L'abbiamo vista in un virus molto simile che è la Sars, non in Italia ma in altri Paesi. La Sars è stata un'epidemia intraospedaliera e molti medici sono stati contagiati: tra l'altro anche un collega italiano che noi ricordiamo sempre, Carlo Urbani, morì per la Sars.

Dicono tutti che il ritorno alla normalità sarà molto lento. Come ci si dovrà comportare quando l'ondata sarà alle spalle?

Le misure di precauzione universale che stiamo usando adesso derivano dal fatto che mancando una prova di colpevolezza siamo tutti colpevoli. Quello che si può sperare è che col ritorno alla normalità si possano identificare i soggetti potenzialmente contagiosi, per provvedimenti più mirati. Speriamo che si possa passare da una fase di precauzioni universali per mitigare l'ondata epidemica, a una fase di contenimento dell'epidemia con una strategia molto diversa, con precauzioni più mirate che però devono essere rispettate assolutamente. Per esempio in Corea è stata fatta la geolocalizzazione delle persone risultate positive con delle sanzioni importanti.

Cosa ci sarà da imparare dall'epidemia?

Non dobbiamo dimenticarci da questa epidemia alcune regole fondamentali per ridurre la diffusione delle malattie respiratorie: tenga conto che anche l'influenza non è che di morti ne fa pochi. Per esempio non andare a lavorare se si sta male o usare mascherine chirurgiche, lavarsi spesso le mani quando c'è una malattia infettiva di tipo respiratorio come l'influenza che gira. Tutte queste precauzioni spero che ci rimangano nella memoria perché anche altre infezioni respiratorie che ciclicamente ricompaiono facciano meno morti. Non saremo giustificati se la prossima stagione influenzale avremo gli stessi morti di prima.

Ultima domanda: veniamo da due giorni di dati in leggero calo per numero di contagi. È ancora presto per parlare di un trend?

Secondo me occorrono più giorni: diciamo tutta questa settimana. Anche perché noi stiamo analizzando i casi che sono sintomatici: quello che stiamo vedendo adesso è la fotografia di ciò che è successo a livello di contagi dai 10 ai 17 giorni fa. Quindi è chiaro che datando le misure di mitigazione prese dal governo e dalla regione, è probabile che gli effetti di questi provvedimento si vedano in maniera compiuta dalla fine della settimana in poi. Adesso è un dato positivo, ma per avere un dato più certo dobbiamo vedere i dati almeno fino a lunedì-martedì prossimo. Se questo trend viene confermato o addirittura sarà in miglioramento vuol dire che tutte queste misure di precauzione universale avranno avuto un risultato e gli sforzi di tutti quanti noi, italiani e lombardi che stanno a casa, potranno essere coronati da un successo. La gente ha bisogno di un segnale positivo, sta facendo tanta fatica.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
228 CONDIVISIONI
32803 contenuti su questa storia
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views