Come stanno le cose sulla zona rossa tra Alzano Lombardo e Nembro
Una zona rossa chiesta, rimandata e infine attivata in drammatico ritardo quando ormai ad Alzano Lombardo, Nembro e negli altri comuni della Val Seriana era già dilagata l'epidemia di coronavirus che ha provocato un'ecatombe. Una vicenda iniziata anche prima del ‘paziente 1' di Codogno, secondo alcuni, con i primi casi sospetti già nei mesi di gennaio e febbraio, come denunciato da medici e sindaci della zona. Poi divampata con il focolaio all'ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo, struttura che si è trasformata da luogo di cura a centro del contagio.
In attesa che vengano chiarite le responsabilità sulla diffusione del covid-19, continua la polemica politica sulla mancata decisione di attivare le misure di contenimento molto restrittive. Limitazioni sul modello di quelle che avevano funzionato nella zona del Lodigiano, raccomandate dall'Istituto superiore di sanità. Avrebbe potuto franare la corsa del virus ed evitare le tragiche scene delle settimane successive, quando i camion dell'esercito hanno portato via dalla provincia di Bergamo decine e decine di bare. Chi avrebbe dovuto dare il via libera e non l'ha fatto? Il presidente lombardo, Attilio Fontana, ha sempre sostenuto di aver richiesto da subito al governo il provvedimento e di non essere stato ascoltato. Per settimane ha detto che non avrebbe potuto agire di sua iniziativa e di essersi dovuto allineare alle scelte di Roma. Ma non era proprio così. Lo stesso governatore avrebbe potuto intervenire con un'ordinanza, come hanno fatto le giunte regionali in Campania ed Emilia Romagna. A ricordarglielo è stato proprio il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, spiegando che se la Lombardia avesse voluto "avrebbe potuto fare di Alzano e Nembro una zona rossa".
Parole che hanno riacceso lo sconto tra istituzioni, mentre ancora le comunità locali lanciano appelli e richieste di aiuto. È passato un mese dalle ore convulse in cui la cruciale decisione non fu presa. Nessuno, in Lombardia, ha dimenticato le pressioni esercitate in quel giorni da parte di Confindustria e del mondo produttivo bergamasco che non voleva fosse paralizzata l'economia. Conte ha assicurato di aver preso le proprie decisioni solo su basi scientifiche, consultando gli esperti. "Abbiamo sbagliato o fatto bene? Riteniamo di aver agito in scienza e coscienza, ce ne assumiamo tutta la responsabilità", ha detto il premier nel corso di una conferenza stampa.
Conte ha detto di volersi assumere la responsabilità, ma non ha ammesso alcun errore. "Con la zona rossa estesa a tutta la Lombardia riteniamo di aver assunto una decisione più rigorosa. Ci sarà poi il tempo per giudicare e io non mi sottrarrò". Poi ha aggiunto di non voler "imputare o scaricare responsabilità". E neanche Attilio Fontana accetta di farsi mettere sotto accusa. Comunque non da solo. "Se c'è una colpa, allora è di entrambi", ha assicurato il governatore. "Ma io non ritengo che ci siano delle colpe in questa situazione", ha aggiunto nel corso di un'intervista al Tg4. Quindi ha concesso che "su Alzano si sarebbe potuto fare qualcosa di più rigoroso", poi è tornato a ribadire che la sua giunta non aveva "da un punto di vista giuridico modo di intervenire".
Ma questo non è vero. Fontana avrebbe potuto intervenire in base all’articolo 32 della legge 833 del 1978, il Testo Unico che regola in Italia e attribuisce le competenze legislative a Stato e Regioni in materia Sanitaria. Un articolo che al comma 1 prevede la possibilità per il Ministro della Sanità di emettere ordinanze urgenti in materia di igiene e sanità pubblica. Ma poche righe sotto, al comma 3, prevede che lo stesso possa essere fatto "dal presidente della giunta regionale o dal sindaco" con efficacia limitate al territorio da essi governato.
Questo significa che tutti, a tutti i livelli, avrebbero potuto prendere quella decisione. Colpa di tutti, quindi colpa di nessuno.