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Camorra, ‘ndragheta e mafia: così la criminalità organizzata si è infiltrata nei locali di Milano

Ogni giorno, senza rendercene conto, alimentiamo inconsapevolmente la criminalità organizzata: camorra, ‘ndrangheta e mafia sono infatti sempre più infiltrate nelle attività commerciali di Milano. Per contrastare questo fenomeno si sta rivelando decisivo lo strumento dell’interdittiva antimafia che consente di chiudere le attività legate a clan e ‘ndrine. Nell’anno in corso sono state già otto, un numero superiore a quello del 2018. Ecco le attività che sono state colpite dalla prefettura.
A cura di Salvatore Garzillo
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Ordiniamo il cappuccino e il mojito al bar degli ‘ndranghetisti, mangiamo la vera pizza napoletana nel locale della camorra, compriamo la fede nuziale nella gioielleria del boss di Cosa nostra. Non ce ne rendiamo conto ma ogni giorno alimentiamo i gruppi criminali senza neppure spostarci dal centro di Milano. Nelle stesse strade della movida, nei posti “giusti” degli influencer, nei locali che rendono il capoluogo lombardo la più europea delle città italiane. La criminalità organizzata è lì, con il volto pulito di un prestanome e le ottime recensioni dei clienti inconsapevoli.

L'importanza delle interdittive antimafia

Ma qualcosa sta cambiando grazie alle interdittive antimafia, uno strumento della Prefettura per chiudere le attività legate a clan e ‘ndrine. Lo scorso 2 aprile il prefetto Renato Saccone ha firmato un patto triennale per rafforzare i controlli antimafia sulle attività commerciali assieme all’assessore comunale alle Attività produttive, Cristina Tajani, e al capo della Direzione distrettuale antimafia, Alessandra Dolci.  Nel 2017 sono state tre le attività colpite: gli ambulanti di frutta e verdura Antonio Dore e Rocco Giannone, e il barbiere Annunziato Cammareri. Nel 2018 il numero è salito a sei e dall’inizio del 2019 siamo già a otto.

Le attività colpite da interdittive nel 2018

Il primo del 2018 è il “Ballarò”, al civico 7 di piazza XXV Aprile, una piccola rosticceria siciliana che restava aperta fino a tardi. Un punto di riferimento dei nottambuli. La società che la gestisce è la “Gecos” di Davide Lombardo e Aurelio Modaffari, il primo è nato e cresciuto a Milano e il suo nome compare nell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia sul clan Barbaro-Papalia per le frequentazioni con Rosario Barbaro e col figlio di Antonio Papalia. Nel 2015 è stato arrestato (e poi condannato in primo grado a un anno) dalla Squadra mobile nell’inchiesta “Outlet” per un traffico di droga legato alla famiglia Molluso di Buccinasco, a loro volta collegati al clan dei Barbaro-Papalia. Lombardo compare anche nell’indagine “Parco Sud” per aver prestato 40mila euro (senza chiedere garanzie) a Domenico Papalia, figlio del boss ergastolano di Buccinasco, Antonio. Nel luglio 2017 lo intervistarono come titolare di un locale sui problemi della movida di corso Como, disse: "È ingestibile. Non passa notte in cui non si verifichino borseggi, furti, rapine. Peccato che tra noi esercenti non si riesca a fare massa critica per sconfiggere questo degrado". Il suo socio nella Gecos è Aurelio Modaffari, che in un’informativa dei carabinieri è definito "vicino" a esponenti del clan Morabito-Palamara-Bruzzaniti. Ha precedenti, non risulta organico alle cosche ma è stato controllato in compagnia di esponenti del clan Morabito e assieme a “il Professore”, ovvero il boss Giuseppe Ferraro. I legali con i Barbaro-Papalia, secondo la Dia, sarebbero dovuti a una parentela: sua nipote è la compagna del figlio di Domenico "Micu ‘u Murruni" Trimboli, membro del clan di Buccinasco e Corsico.

Il secondo locale è il "Gio&Cate" di via Molino delle Armi 23, a due passi da corso Como. La società che lo gestiva era la “Milano by night”, il cui amministratore è ancora Modaffari, con il 25 per cento delle quote. Lombardo ha la stessa percentuale mentre il 50 per cento è nelle mani di Francesco Palamara, 34enne calabrese. Quattro anni fa, è stato denunciato per favoreggiamento di suo cugino Santo Morabito, un narcotrafficante preso dai carabinieri ad Africo. Quest’ultimo è nipote del boss Giuseppe Morabito detto “Peppe ‘u Tiradrittu” (buona mira). Quando lo arrestarono nel 2004, dopo 12 anni di latitanza, il presidente della commissione parlamentare Antimafia, Roberto Centaro, disse: "La sua cattura è ben più importante di quella di Bernardo Provenzano".

L’interdittiva colpisce poi la “Globo srl”, società intestata al 36enne incensurato Enrico Sacchetti che gestisce il “Dom Cafè” di corso Como 5. Il 23 giugno 2018 chiude il bar “Pancaffè” in viale Lodovico il Moro 159. Titolari della società “Pancaffè srl” sono Adriana Feletti e Serafina Papalia, rispettivamente moglie e figlia di Rocco Papalia, il 68enne (che ora vive a Buccinasco) scarcerato nel maggio 2017 dopo 25 anni di carcere. Negli atti che accompagnano il provvedimento amministrativo ci sono due riferimenti importanti: si parla del legame con Giuseppe Pangallo, marito dell’altra figlia Rosanna, condannato per truffa; e del marito di Serafina, Salvatore Barbaro, in carcere per l’inchiesta “Cerberus” sulle infiltrazioni mafiose nel movimento terra di Buccinasco.

Le mani della ‘ndrangheta su una farmacia

Ma il 2018 è anche l’anno della farmacia in piazza Caiazzo 2, al centro di due diverse inchieste e interdittive che riguardano la società "Giampaolo dott.Farmacista Giammassimo" e successivamente la “Farmacia fiduciaria 1907 srl”. La prima si è conclusa con l’arresto dell’ex direttore delle Poste di Siderno, Giuseppe Strangio, accusato dai pm della Dda Cecilia Vassena e Paolo Storari di aver comprato la farmacia a due passi dalla stazione Centrale riciclando soldi della droga del potente clan Romeo di San Luca, al quale è legato attraverso la moglie. I soldi sarebbero arrivati dal traffico di droga della “locale” piemontese di Pasquale Marando (il cui cadavere non è mai stato ritrovato) e sarebbero stati usati nel 2005 dal dottor Giammassimo Giampaolo per comprare la farmacia. I soldi sporchi sarebbero stati 48mila euro sul totale di due milioni di euro. Giammassimo è stato poi arrestato assieme al fratello Domenico e a Sebastiano Calabrò, dipendente della farmacia e figlio di Giuseppe Calabrò detto “u dutturicchiu”, definito dal procuratore Ilda Boccassini "uomo di peso della ‘ndrangheta". Nel maggio 2018 la stessa attività, ormai passata alla società “Farmacia Fiduciaria 1907 srl” risulta la base di un traffico illegale di farmaci (tra cui il “Contramal”, la droga dei combattenti dell’Isis) con "una serie indeterminata di truffe nei confronti di aziende farmaceutiche" e "truffe ai danni dell’Erario ed emissioni di fatture false". In un anno è stato accertato un guadagno di 19 milioni e mezzo di euro, con evasione del credito di imposta di quasi due milioni di euro.

Nel 2019 le interdittive hanno già colpito nove attività

Nel 2019 le interdittive antimafia hanno colpito nove attività, tra cui un negozio di tatuaggi della “Gambino srl”, il vivaio della “Nuovo Garden srl” a Sedriano, il bar “Flamingo” in piazza XXV Aprile della società “Quintet Ristorazione srl”, il “Caffè Belfiore” intestato a Rocco Musitano, figlio 47enne del capo clan di Bareggio. Restando nel campo dei bar, nell’elenco c’è anche “L’angolo del caffè di Giuseppe Violi” in via dei Mille a Buccinasco, considerato lo storico covo dei Barbaro-Papalia. In paese tutti lo conoscevano come l’ex Lyons, l’ufficio delle ‘ndrine da 30 anni. La Prefettura ha deciso di chiuderlo per i contatti con la criminalità organizzata di Violi, nipote da parte della madre Anna di Francesco Barbaro, il capostipite della cosca calabra dei Pillaru, morto nel 1998 con il titolo di “Re dell’Aspromonte”. Ancora ‘ndrangheta nelle motivazioni della chiusura di “Unico Milano srl”, il lussuoso ristorante all’ultimo piano della Wjc Tower al Portello, in via Achille Papa 30. Stavolta i rapporti emersi dalle indagini dell’Antimafia sarebbero con la cosca dei Piromalli-Molè attraverso il socio di maggioranza Massimiliano Ficarra, un commercialista originario di Gioia Tauro che detiene il 55 per cento delle quote.

C’è posto anche per la camorra. Il 30 gennaio è stata abbassata per l’ultima volta la serranda della pizzeria “Frijenno Magnanno” in via Benedetto Marcello 93, tra la principale arteria dello shopping corso Buenos Aires e la stazione Centrale. Sulla saracinesca è stato appeso un foglio con scritto che la chiusura è dovuta a “motivi familiari”. Il Comune ha invece spiegato che l’interdittiva ha colpito la società “Co.El. snc” di Tommasino Maria e C. in virtù di presunti rapporti col clan napoletano Guida. Aveva aperto nel 1997 e quest’anno era finita anche nella guida delle pizzerie d’Italia del Gambero Rosso.

La gioielleria della mafia al Quadrilatero della moda

Non poteva mancare Cosa nostra, presente con una gioielleria in pieno Quadrilatero della moda, in via Felice Cavallotti 8. Il 15 marzo è stata infatti disposta la chiusura di “Luxuty Hours”, formalmente intestata a Michela Radogna ma secondo gli investigatori riconducibile al suo compagno, il 43enne Gaetano Fontana, figlio di Stefano, attuale reggente della famiglia mafiosa dell’Acquasanta. "La pericolosità sociale di Fontana, trova già conferma nell’applicazione nei suoi confronti nel 2010 della misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno a Milano, alla quale lo stesso si trova attualmente sottoposto – scrive la questura di Palermo – Risulta già condannato in via definitiva per associazione mafiosa per aver svolto le funzioni di reggente della famiglia mafiosa, per conto della quale gestiva il nevralgico settore di riscossione del pizzo". La sorella, inoltre, è legata al nipote di Giuseppe "Piddu" Panno, capomafia di Casteldaccia (Palermo) ucciso nel 1981 a Bagheria.

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