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Beni confiscati, in Lombardia non c’è nemmeno una banca dati

All’Agenzia per la gestione dei beni sottratti alle mafie mancano uomini e mezzi. Durante la seduta congiunta delle commissioni Antimafia di Regione Lombardia e Comune di Milano emergono i problemi nell’amministrazione degli immobili.
A cura di Ester Castano
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Regione Lombardia, terzo piano di palazzo Pirelli. Si è svolta questa mattina alla presenza di Roberto Maroni la seduta congiunta con la Commissione Speciale Antimafia della Regione presieduta da Gian Antonio Girelli e la Commissione Antimafia del Comune di Milano rappresentata dal consigliere David Gentili. All’incontro ha partecipato il prefetto Umberto Postiglione, direttore dell’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati. A fine mattinata l’Agenzia è riuscita ad ottenere una promessa dal governatore: la messa a disposizione di risorse umane e finanziarie per sopperire alle carenze. "L’Agenzia non ha tanti fondi come invece ne ha la Regione, fondi che vorrei utilizzare per aiutare gli assegnatari dei beni nel mantenere vivo il cambiamento di gestione: dall’illegale al legale”, ha dichiarato Roberto Maroni.

Immobili tolti da una logica mafiosa e inseriti, grazie all’intervento dello Stato, in un sistema imprenditoriale di legalità: quella della confisca e della gestione dei beni è una questione aperta anche nella regione considerata ‘motore del paese’. Con i suoi 1.182 beni (i dati sono dell’Agenzia e aggiornati a dicembre 2012) la Lombardia in graduatoria è la prima regione del Nord per quantità, subito dopo Sicilia, Calabria e Campania. In Italia i dipendenti delle aziende confiscate alle mafie sono 1.200, di cui 900 in Sicilia e i restanti 300 ‘nel continente'. Di questi 250 lavorano in supermercati agricoli. Ma quello dei beni sequestrati alle mafie, oltre ad essere un iter lungo e complicato, è un vero e proprio comparto economico la cui gestione talvolta presenta tratti non sempre lineari. Burocrazia lenta, compiti di controllo che si accavallano, conflitti d’interesse, soldi pubblici che mancano, ritardi nell’assegnazione di stabili e terreni. Ad oggi il rischio che i proprietari mafiosi e le loro famiglie si rimpossessino, attraverso prestanome, dell’immobile che precedentemente gli era stato sequestrato.

“Come fa la mafia a procurarsi i clienti? Li minaccia. E la mafia anche dopo la confisca non finisce di esistere: si trova altri clienti e va a minacciare le aziende sequestrate e riattivate legalmente. Dobbiamo pianificare un’azione a tratti aggressiva, nell’eccezione positiva del termine, come aggressivo è l’atteggiamento positivo di chi vuole risolvere un problema – spiega il prefetto – Quando diciamo che la mafia da lavoro ci creiamo un grande problema: non teniamo conto che la mafia da lavoro senza pagare i contributi, senza fondi previdenziali, senza versare nulla nelle casse dello Stato. E quando la mafia da lavoro lo fa perché svolge una sua funzione, tentando di costringere l’apparato pubblico ad abbandonare la gestione delle aziende confiscate. Non è vero che la mafia è impermeabile: oramai ne conosciamo i metodi. E impediremo ai mafiosi di ricomprarsi le aziende che le sono state tolte dallo Stato”. Partecipazione a progetti europei, coinvolgimento dei sindaci e delle associazioni presenti nei territori, coordinare la dislocazione delle forze di polizia locale affidandogli competenze sovracomunali, costituire di un gruppo di lavoro che monitori sui all’assegnazione e gestione delle aziende e dei beni immobili sequestrati: le proposte dell’Agenzia sono state accolte all’unanimità dai presenti, e il presidente della Regione Maroni ha confermato la disponibilità dell’Ente che rappresenta e dell’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) a mettere in campo risorse finanziarie e umane.

Beni confiscati, le carenze in Lombardia

Ma delle aziende ad oggi confiscate solo alcune sono vere e proprie aziende: su 1.000, solo 60 sono in grado di sopravvivere autonomamente. Da qui la proposta del presidente David Gentili della Commissione Antimafia del Comune di Milano: “La nostra città e così le amministrazioni dell’area metropolitana hanno tutte le possibilità di applicare l’articolo 48 del codice antimafia che prevede per i comuni l’acquisto dei beni. Parliamo di bar, ristoranti ed esercizi simili. Mettendoli a reddito darebbero profitto sia a chi li gestisce che al Comune in quanto vi sarebbe un versamento del canone che l’ente comunale potrà utilizzare per la realizzazione di attività utili alla comunità”.
Sono tante, ad oggi, le cose che mancano: manca una banca dati, come sottolinea il presidente della Commissione Antimafia del Comune di Milano. Manca personale: l’Agenzia Nazionale ha appena 50 operatori, di cui 3 a Milano. “Abbiamo preso atto delle difficoltà che sta affrontando l’Agenzia, e quindi fissato le basi per creare un protocollo d’intesa. L’eccezionalità dell’incontro odierno è solo l’inizio per un coordinamento vigile e attento delle istituzioni che rappresentiamo”, dichiara Gian Antonio Girelli della Commissione Regionale Antimafia. E nella destinazione e amministrazione del bene l’autorità giudiziaria, ad oggi, è influenzabile: vi è infatti una curiosa sovrapposizione fra l’intervento dell’agenzia e quello del magistrato, ed è lo stesso prefetto a denunciarlo: “Il giudice è la persona più influenzabile, e non riesco a capire come si possa far coadiuvare il magistrato dall’agenzia se il magistrato deve essere autonomo nella sua decisione”, commenta Postiglione. A tal proposito la proposta è quella di creare un gruppo di consulenti per il giurista, costituito da aziendalisti ed esperti nominati presso le corti d’appello.

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