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Batterio Nuova Delhi, casi anche in Lombardia: da Milano parte la lotta all’antibiotico resistenza

Anche in Lombardia si sono registrati casi del cosiddetto batterio killer, il batterio Nuova Delhi che ha causato già 45 morti in Toscana. L’epidemia si inserisce nel quadro dell’antibiotico resistenza, un problema a livello mondiale che nella sola Italia causa 11mila morti all’anno. Il professor Massimo Puoti, direttore della Struttura complessa di malattie infettive dell’ospedale di Niguarda, ha presentato assieme ad altri colleghi e associazioni di volontariato e società scientifiche un manifesto per la prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza. A Fanpage.it ha provato a chiarire di cosa stiamo parlando e quali sono i rischi in Lombardia.
A cura di Francesco Loiacono
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Si chiama Nuova Delhi (Ndm): è un plasmide, cioè un pezzo di genoma di batterio, che rende il microorganismo resistente agli antibiotici, anche i più potenti. Il "batterio killer", come è stato soprannominato, ha colpito specialmente in Toscana: 136 casi fino al 15 novembre 2019, con il 33 per cento dei pazienti che purtroppo è morto. Dalla Toscana, il batterio Ndm è arrivato anche in altre regioni d'Italia, come la Lombardia: ed è da qui, e in particolare da Milano, che nella Giornata europea della consapevolezza sull'uso degli antibiotici (che ricorre oggi, 18 novembre), parte la lotta all'antibiotico resistenza, un problema a livello mondiale che nella sola Italia causa 11mila morti all'anno (i dati, relativi al 2015, provengono da uno studio pubblicato sulla rivista Lancet nel novembre 2018). Il professor Massimo Puoti, direttore della Struttura complessa di malattie infettive dell'ospedale di Niguarda, a Fanpage.it ha provato a chiarire di cosa stiamo parlando e quali sono i rischi in Lombardia.

Professore, cos'è il batterio Nuova Delhi e quando è comparso in Italia?

Facciamo una premessa: in Italia esiste un sistema di sorveglianza della resistenza agli antibiotici, con degli ospedali campione che sono testati dall'Istituto superiore di Sanità. Il Nuova Delhi non è un batterio in realtà, ma un pezzo di genoma che si chiama plasmide che trasmette da un batterio all'altro la proprietà di resistere a diversi antibiotici. Questo plasmide Nuova Delhi è comparso in Italia da poco: in tre anni, dal 2014 al 2017, ne erano stati identificati solamente 13 su un totale di batteri resistenti ai carbapenemici (una classe di antibiotici, ndr) di ceppi isolati di 7490, quindi lo 0,4 per cento. Senonché c'è stata una segnalazione, arrivata anche in sede epidemiologica europea (al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, Ecdc), di 350 casi di enterobatteri produttori di carbapenemasi da novembre 2018 a maggio 2019 nella Toscana nord-occidentale. E in effetti nel sistema di sorveglianza nazionale, a fronte dei 13 casi identificati fino al 2017 ne sono stati identificati 38 negli ultimi 12 mesi. Su questi 38, 30 erano in Toscana, due in Liguria, tre nel Lazio, Piemonte e in Emilia Romagna e di altri tre non era specificata la provenienza. Quindi c'era questa epidemia che ha iniziato a diffondersi anche in Italia.

Dove si trovano questi batteri, negli altri Paesi?

A livello mondiale questi batteri sono presenti nei Balcani e in Grecia almeno dal 2015: in questi Paesi il 33 per cento dei batteri ha questo tipo di plasmide. Sono resistenti non solo ai carbapenemi, ma anche agli antibiotici più moderni che servono per uccidere i batteri resistenti ai carbapenemici, quindi sono dei super resistenti. Diversi casi che sono stati descritti in Europa erano associati a storie di ospedalizzazione in Africa, nel sub continente indiano e nei Balcani. Ci sono stati poi delle piccole epidemie a Bologna, in Svezia e in Polonia.

Qual è la situazione attuale in Toscana? 

La situazione attuale in Toscana, aggiornata al 15 novembre 2019, ci dice che sono stati registrati nel sangue 136 portatori di questi batteri (che avevano sviluppato setticemia, infezione del sangue, ndr), che questi 136 casi hanno avuto una letalità del 33 per cento e che fino al 30 ottobre i portatori, cioè coloro che non lo avevano nel sangue ma in qualche altra parte, erano 708. Se noi vediamo l'andamento settimanale della regione Toscana ci dice che il picco di segnalazioni è avvenuto a metà settembre, mentre le due prime settimane di novembre abbiamo avuto segnalati solo tre casi per settimana, quindi sembrerebbe un fenomeno che forse è in decremento in Toscana.

E in Lombardia?

Non abbiamo dati precisi, alcuni giorni fa il professor Andrea Gori, responsabile del reparto di Malattie infettive del Policlinico di Milano, in un'intervista ha parlato di due casi in Lombardia. Noi, per quanto riguarda quello che abbiamo visto al Niguarda, dal 2017 al 2019 abbiamo visto 12 casi: due nel 2017, quattro nel 2018 e sei nel 2019. Quattro avevano infezioni nel sangue, quindi sepsi, gli altri otto avevano infezioni in altri posti, quindi erano semplicemente dei portatori. Cinque erano pazienti italiani, sette stranieri: due provenivano dal Pakistan, uno dall'Ecuador, tre dall'Egitto e uno dalla Libia. Almeno 10 di questi pazienti avevano avuto un ricovero da qualche altra parte.

È quindi in atto un contagio dalla Toscana?

Chiaramente questi nuovi batteri si stanno diffondendo in Italia, la diffusione in Toscana è stata particolarmente rilevante, per cui tutti gli ospedali italiani si devono cercare di attrezzare per impedire l'ingresso di questi batteri, perché entrando il batterio entra questo plasmide che è un pezzo di Dna che trasferisce la resistenza da un batterio all'altro, non necessariamente della stessa specie: è più frequente trovare questi geni in un batterio che si chiama Klebsiella pneumoniae, ma possono essere trovati anche in altri batteri.

Cosa si può fare in concreto?

Al Niguarda tutti i pazienti che sono stati ricoverati recentemente – negli ultimi 90 giorni – in Toscana e che vengono dalle aree a rischio li mettiamo in isolamento e li sottoponiamo al test rapido, un test che ci consente in poche ore di avere una risposta sulla presenza del batterio. Se c'è teniamo i pazienti in isolamento, se non c'è li mettiamo insieme agli altri. In Lombardia non c'è un focolaio di epidemia, ma ad esempio abbiamo avuto un paziente proveniente proprio dalla Toscana, nello specifico da Pisa. Lo abbiamo curato, perché anche se è resistente a tutto, va detto che c'è un modo di trattare questi batteri: mischiando due antibiotici diversi.

Il tema dell'epidemia da Nuova Delhi in Toscana si inserisce nel contesto dell'antibiotico resistenza. Proprio dall'ospedale Niguarda a Milano è stato presentato recentemente un manifesto – otto buone pratiche in ambito ospedaliero – per la prevenzione delle infezioni correlate all'assistenza e per contrastare l'antibiotico resistenza, realizzato nell'ambito di un progetto nato dal confronto con le associazioni di volontariato e patrocinato da Gisa (Gruppo italiano stewardship antimicrobica), Cittadinanzattiva, Anipio (Società scientifica nazionale infermieri specialisti del rischio infettivo) e il contributo incondizionato di Msd. Significa che la Lombardia è in prima linea in questa battaglia?

La Lombardia e gli infettivologi lombardi sono in prima linea in questa battaglia, però tutta l'Italia vi sta lavorando. Ovviamente il problema grosso è che esiste un programma ma non esistono i fondi dedicati all'attuazione del programma, ma questo è un leitmotiv di tutto il Sistema sanitario italiano. Si basa molto sulla buona volontà e sulla flessibilità, purtroppo però i medici fanno fatica a rispettare tutte le regole. Un sistema sanitario troppo flessibile è un sistema sanitario che fa fatica a osservare tutte le regole.

A proposito di infezioni correlate all'assistenza e antibiotico resistenza: in Italia, secondo gli ultimi dati dell'Istituto superiore di sanità, pur in un trend che vede una diminuzione dei casi, nel 2018 le percentuali di resistenza alle principali classi di antibiotici per gli otto patogeni sotto sorveglianza si mantengono più alte rispetto alla media europea. In questo quadro, dove si colloca la Lombardia? 

Dai dati dell'Iss la Lombardia si colloca sicuramente bene, però i dati ci dicono cosa succede negli ospedali sentinella, che non sono tutti gli ospedali lombardi. Comunque per quanto riguarda i germi produttori di carbapenemasi, il rapporto dell'Iss ci dice che in Lombardia solo il 18 per cento dei batteri dell'intestino, enterobatteri, ha questa resistenza: in Campania siamo al 49 per cento, in Puglia al 59 per cento, in Sicilia al 73 per cento.

C'è una correlazione con la quantità di antibiotici utilizzata? 

La correlazione tra quantità di antibiotici utilizzata e la resistenza c'è, ma forse è molto più correlata alle modalità dell'uso di antibiotici che solo alla quantità. Quindi non solo quanto se ne usa, ma come si usa.

Comunque la Lombardia può essere definita una regione virtuosa? 

Come trend generale possiamo dire che la Lombardia è tra le regioni più virtuose. E' il solito punto: alcuni sistemi regionali hanno una situazione diversa dalle altre. Però non è la situazione di tutti gli ospedali lombardi.

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